Manifestazione a Roma dei Russi contrari al regime di Putin
foto e articolo di Furio Capozzi
Si è svolta oggi a Roma una manifestazione di protesta contro il regime di Putin in Russia. Alla manifestazione, che si è svolta in Piazza dei Santi Apostoli, hanno partecipato numerosi cittadini Russi residenti o in transito a Roma. I manifestanti sono stati molto espliciti e denunciando il regime dell’attuale presidente Putin, hanno chiamato ‘ Il nostro presidente’ l’attivista, blogger e politico russo di origini ucraine Aleksej Naval’nyj. Come è noto Navalny (questa la traduzione del suo nome in italiano) è tra i più forti oppositori del regime del Presidente Putin.
L’oppositore di Putin, Navalny viene condotto in carcere dopo la sentenza di condanna
Attualmente è in carcere per scontare una condanna a 3 anni e sei mesi per questioni evidentemente legate alle sua attività politica contro il Presidente Putin e del suo Regime anti-oppositori. In particolare Navalny si è sempre detto aperto ad una politica di convivenza pacifica con le popolazioni occidentali ed a favore dei matrimoni omosessuali, capisaldi contrari da parte del Presidente Putin. Ricordiamo inoltre che in situazioni non meglio chiarite, fu avvelenato nel 2017 con un agente nervino e fu salvato in extremis dopo il trasporto in un ospedale di Berlino. Successivamente non ha voluto condurre la sua politica di opposizione in esilio accettando le conseguenze del suo rientro in patria. La manifestazione rientra nella campagna mediatica denominata #freenavalny lanciata dalla figlia dell’oppositore di Putin. Nella stessa Russia decine di migliaia di persone sono state arrestate e si sono schierate in piazza contro la politica del Regime di Putin accettando a loro volta le conseguenze del gesto (galera, percosse etc.).
Una manifestazione dei radicali italiani pro Navalny
In Italia diverse forze politiche si sono apertamente schierate a favore di questa campagna mediatica. Tra queste i Radicali Italiani che hanno rilasciato un comunicato stampa:
”Aderiamo con convinzione alla campagna internazionale #FreeNavalny lanciata ieri da Dasha Navalnaya, figlia di Alexei Navalny, per la liberazione del padre sequestrato esattamente due anni fa dal regime di Putin, sottoposto a processi farsa ed incarcerato nella colonia penale di Melikhovo in regime di massima sicurezza. Rinnoviamo la richiesta al ministro degli Esteri Tajani perché si attivi affinché l’ambasciatore italiano a Mosca visiti Navalny in carcere per verificare le sue condizioni di salute e detenzione”, così in una nota Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente di Radicali Italiani.
“Attualmente Navalny è stato condannato a nove anni di reclusione ma sono stati aperti contro di lui altri procedimenti giudiziari per un totale di 35 anni di reclusione. L’intento di Vladimir Putin è chiaro: fare uscire Navalny di prigione non in modalità verticale ma orizzontale, dopo la sua morte.
Invitiamo le altre forze politiche, la società civile, i cittadini, a sottoscrivere l’appello per la liberazione incondizionata di Alexei Navalny su sito freenavalny.com.
Le firme raccolte in un solo giorno sono già mezzo milione e, nonostante il clima di paura e terrore esistente in Russia, ben seicento medici e decine di avvocati russi hanno sottoscritto un appello pubblico affinché Navalny riceva in cella adeguate cure mediche.
Venerdì scorso avevamo inviato una lettera aperta al ministro degli Esteri Antonio Tajani, affinché attivi tutti i canali diplomatici utili per verificare le condizioni di salute e di detenzione di Navalny.
Sarebbe quantomai opportuno che l’ambasciatore italiano a Mosca richiedesse di poter visitare il dissidente russo per accertare di persona, senza filtri, le sue condizioni e la sua situazione detentiva. Ministro Tajani, nulla da dichiarare?”, concludono.
Considerazioni sulla latitanza di un assassino e sul sistema mafioso
Di Furio Capozzi,
Audio laboratorio della SSML San Domenico di Roma
Dopo una latitanza durata 30 anni, è stato finalmente arrestato Matteo Messina Denaro, il Boss pericoloso, il capo della Mafia, il latitante ricercato numero uno. Una notizia che suscita compiacimento ed imbarazzo al tempo stesso. Da una parte ovviamente siamo tutti contenti della fine della libertà di un cruento assassino mafioso, dall’altra ci si interroga su come sia stato possibile in un mondo in cui ogni cittadino è controllato da migliaia di ‘occhi elettronici’, nel periodo in cui si inseguono con droni i cittadini solitari sulle spiagge per farli rientrare in casa causa Covid, nel mondo della biometrica digitale, delle banche dati digitali globali, ci sia stata la possibilità di ‘trasparenza’ da parte di un ricercato internazionale.
L’arresto di Matteo Messina Denaro ed una sua immagine attuale
Tutto questo nel suo paesino siciliano di residenza e nel quale ha commesso i delitti più atroci, per trenta anni. Cosa è successo? Chi lo ha coperto per tre decenni? Innanzitutto dobbiamo ricordarci chi fosse il personaggio. Questo perché molti quotidiani si soffermano su aspetti da operetta legati al personaggio: donne, viagra, auto sportive, selfie con i cittadini, sorrisi in strada, lusso etc. Il personaggio in questione ha ammazzato strozzandolo e squagliandolo nell’acido, dopo due anni di sequestro, un bambino di dieci anni
Il Bambino ucciso e sciolto nell’acido Giuseppe Di Matteo
che aveva la ‘colpa’ di essere figlio di una persona che ‘non era buono‘ in relazione agli affari mafiosi del Matteo Messina Denaro. Ha ammazzato a sangue freddo centinaia di persone, tanto da poter ‘riempire un campo santo‘ come da intercettazioni emerge, ha distrutto lo stato del diritto creando un sistema Mafioso che ha coinvolto personaggi politici come quello attualmente condannato in via definitiva in cassazione del ex Senqtore e gia sottosegretario all’interno (SOTTOSEGRETARIO ALL’ INTERNO!) di Forza Italia Antonio D’Alì,
Il Senatore D’Alì condannato per associazione mafiosa esterna con l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
uomo forte di Forza Italia a Trapani sin dalla fondazione del partito, è stato condannato per avere “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato”. La Mafia Ha ucciso in maniera eclatante, che fosse di monito a tutti, i giudici del Pool Antimafia Falcone e Borsellino oltre a numerosi altri componenti della macchina giudiziariaagenti della scorta, commercianti, famigliari di oppositori fuggiti all’estero, giornalisti non compiacenti, ha gestito il traffico di stupefacenti internazionale da e verso l’europa etc. etc. etc.
Il sociologo ed attivista Mauro Rostagno ucciso su mandato di Matteo Messina Denaro ‘Io sono più trapanese di voi perché ho scelto di esserlo‘
Insomma un personaggio di cui vergognarsi quando all’estero ci chiedono di quale nazionalità siamo. Un personaggio che, insieme al Padre Francesco Messina Denaro inventò il nuovo sistema mafioso, un sistema che prevedeva la connivenza, la partecipazione dei cittadini, l’omertà imposta agli oppositori oltranzisti, ma agevolata alla enorme massa di persone, specie (ma non in via esclusiva) tra quelle residenti nelle terre siciliane dove si sono svolti i fatti denunciati, con la partecipazione economica e di interessi.
luogo della uccisione del Giudice Falcone, della moglie e dei poliziotti della scorta
In sostanza la nuova Mafia coinvolge i cittadini, li rende partecipi di affari economici sia come prestanomi che come imprenditori senza concorrenti (in quanto ammazzati, minacciati oppure a loro volta coinvolti). In sostanza la nuova mafia ha creato un sistema di omertà nel quale molti si sono tappati il naso di fronte alla efferatezza dei gesti omicidi e di inquinamento di uno stato del diritto. Nei prossimi mesi i pubblici ministeri andranno ad indagare sulle responsabilità di tale lunga latitanza in un territorio che dovrebbe essere super sorvegliato, anche grazie alle loro stesse attività, ma il sospetto è che la conclusione sarà triste e sconfortante: La Mafia è nella cultura della cittadinanza, è nella omertà di chi ha interesse oppure è vigliacco. E’ la mafia che non ha termini tradotti nel mondo: LA MAFIA DEGLI ITALIANI.
Nel Lazio sarà possibile presso strutture pubbliche
di Fabio Valerini
Nel Lazio sarà possibile ricorrere alle strutture pubbliche per effettuare la circoncisione rituale. Saranno, per ora, due le strutture pubbliche dove dietro prescrizione medica e con un ticket di 36 euro gli interessati potranno accedere alla prestazione chirurgica della circoncisione rituale: il policlinico Umberto I e il San Camillo Forlanini
A prevederlo una determinazione della Regione Lazio che è stata presentata questa mattina all’incontro su Circoncisione rituale: salute, diritto e integrazione organizzato alla Grande Moschea di Roma dal Centro Islamico culturale d’Italia
Con la determina operativa dal 5 gennaio di quest’anno, la Regione ha introdotto un codice specifico, il codice 64.0_4, per la circoncisione riturale, anche per i bambini (prima era possibile solo la circoncisione terapeutica).
Per l’assessore alla sanità Alessio Amato che ha curato la determina, e uno dei candidati alla presidenza della Regione questa novità “nasce da un dialogo proficuo con la Grande Moschea di Roma – Centro Islamico culturale d’Italia aumentando il diritto alla salute nel rispetto della religione”.
Si tratta di un “grande risultato del dialogo” – ha sottolineato – l’Imam Nader Akkad della Grande Moschea grazie, oltre all’assessore alla sanità, alla collaborazione della presidente del II municipio di Roma Francesca Del Bello, con benefici per la comunità musulmana e per tutte quelle comunità abramitiche che prevedono la circoncisione.
L’obiettivo perseguito da questa scelta della Regione è stato duplice. Prima di tutto dissuadere dalle circoncisioni eseguite non da medici e in luoghi non idonei con tutti i rischi di complicazione che possono portare a a malformazione e in casi più gravi alla morte portando i genitori a preferire le strutture pubbliche ospedaliere con personale medico.
Ma anche poi quello di non costringere i genitori a ricorrere a strutture mediche di altri paesi che pure avrebbe costituito un ostacolo quantomeno all’esercizio di un diritto di libertà.
Ed è per questo che la Regione ha prestato attenzione anche al profilo del costo della contribuzione alla spesa della prestazione che è stato contenuto in 36 euro: un costo più alto avrebbe potuto continuare a dissuadere molti per ragioni economiche portando verso strade illegali e pericolose per la salute dei bambini.
“Questa delibera” – ha osservato Mustafa Qaddourah – “facilita la vita dei musulmani in Italia e l’integrazione e il senso di comunità evitando rischi per i bambini”.
La scelta della Regione Lazio si pone quindi anche come modello per un’estensione a tutt’Italia di questa possibilità che attualmente è disciplinata, dove lo è, a macchia di leopardo a seconda delle varie Regioni.
Una scelta che ha solide basi: già nel 1998 il Comitato Nazionale di Bioetica aveva riconosciuto la liceità della circoncisione tradizionale o religiosa affermando che “i popoli o le comunità che, per la loro specifica cultura, praticano la circoncisione rituale, e quella in particolare dei neonati di sesso maschile, meritano quindi pieno riconoscimento della legittimità di tale pratica e di conseguenza un altrettanto piena tutela”.
Inoltre, anche la Commissione parlamentare per l’infanzia ha recentemente richiamato l’attenzione sull’opportunità di “promuovere, in un quadro di leale collaborazione con i competenti organismi nazionali e gli enti territoriali e nel rispetto delle comunità religiose interessate, la conclusione di accordi con le strutture sanitarie pubbliche finalizzate ad assicurare agli utenti che ne facciano richiesta la possibilità di effettuare in ambito ospedaliero le pratiche di circoncisione rituale secondo un tariffario concordato che tenga conto dell’intero percorso assistenziale dalle attività di analgesia, sedazione, asepsi alla tecnica chirurgica”.
Si passa ora alla fase operativa che necessita prima della diffusione di questa possibilità e, poi, di un monitoraggio per adeguare, in prospettiva, la capacità alle richieste degli utenti.
È stata inaugurata oggi al Centro Islamico Culturale d’Italia presso la Grande Moschea di Roma la mostra sulla Storia delle mafie che resterà aperta fino al 5 maggio 2023 il mercoledì e il sabato, dalle ore 11.00 alle ore 13.00.
interno della Moschea di Roma
Organizzata insieme al Museo delle Civiltà di Roma e alla Pontificia Academia Mariana Internazionalis, la mostra si inserisce nel percorso di promozione della legalità e si propone come esempio per un “patto tra le generazioni” un’alternativa alla cultura della solitudine, della paura, dell’insicurezza, dell’abbandono, della dimenticanza, dell’immagine, dell’ignoranza, della forza e della violenza, su cui le mafie e le criminalità in genere costruiscono le basi del loro sviluppo, della loro propaganda e della loro mortale pedagogia, sia tra gli adulti sia tra i giovani.
In occasione dell’evento di apertura della mostra il dr. Nader Akkad, Imam della Grande Moschea ha richiamato l’importanza della pace, che l’Islam porta nel suo nome, e del dialogo interreligioso come percorso comune tra le varie religioni per la costruzione di un mondo migliore.
Un dialogo che trova un terreno comune, come ha sottolineato Padre Stefano Checchin della PontifciaAcademia, nel messaggio proprio di tutte le religioni che è un messaggio di pace e che presuppone la dignità delle persone.
È proprio il valore della dignità delle persone ciò che deve essere tenuto sempre presente perché le mafie – ha sottolineato Fabio Iadeluca che ha curato i testi e le cartografie della mostra e che con competenza e passione ha introdotto gli studenti lungo il percorso della mostra – muovono dalla negazione del valore della persona umana e della dignità umana.
Importante, quindi, come presupposto imprescindibile per vincere sulle mafie lo studio e la formazione come strumenti per comprendere e poter agire consapevolmente nella società.
Il sapere è un antidoto fondamentale contro le mafie ed è ciò che consente, come hanno ben sottolineato sia Abdellah Redouane, segretario del Centro Islamico Culturale d’Italia che Padre Gian Matteo Roggio, Direttore del dipartimento di analisi studio e monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi, sì di sognare ma da svegli per poter cambiare, insieme, verso un mondo migliore iniziando dal propagare la legalità.
Un nuovo articolo viene inserito nel codice penale, l’articolo prende il numero 434-bis, il reato il nome di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, ma, per tutti, diventa subito il reato che punisce i rave party.
Partiamo dalla Gazzetta Ufficiale pubblicata nella serata del 31 ottobre 2022 dove troviamo il decreto legge n. 162 del 2022 con il quale il Governo, tra gli altri obiettivi, ha voluto introdurre una disposizione per prevenire e contrastare il fenomeno dei raduni.
Non tutti i raduni, ma soltanto quelli dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica.
Viene punito chi organizza o promuove (e meno gravemente chi partecipa) un raduno con invasione arbitraria da parte di più di cinquanta persone di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, quando da quel raduno può derivarepericolo per l’ordine pubblico o l’incolumitàpubblica o la salute pubblica.
Una formulazione (che qui abbiamo rivisto per ragioni di sintesi) che ha lasciato perplessi gli addetti ai lavori per la tecnica redazionale e che ha fatto sorgere due grandi questioni: da una parte, una critica al Governo per una scelta giudicata liberticida, dall’altra la riflessione sul perché dell’introduzione di questa nuova norma.
Iniziamo da quest’ultimo dubbio, quello sulla finalità del decreto legge che sorge pensando ad una coincidenza temporale: la pubblicazione del decreto legge segue il successo delle forze dell’ordine nello sgomberare il rave party di Modena.
È stato sicuramente un successo della mediazione delle forze dell’ordine con i presenti al raduno, ma anche dell’esistenza di strumenti giuridici che già esistono per fronteggiare simili evenienze e che, anche prima del nuovo articolo 434-bis cod. pen., potevano costituire reato.
Se in casi come questi non fosse ipotizzabile alcun reato il sequestro di materiale audio per 150 mila euro eseguito nel caso del rave party di Modena avrebbe vita breve, ma prima ancora l’opera della polizia giudiziaria.
Non è, quindi, che fino ad oggi il rave party a cui ha pensato il Governo nell’adottare il decreto legge (e, cioè, quello da cui possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica) non fosse penalmente perseguibile.
Ed allora dove risiede la novità del decreto legge?
Una prima novità potrebbe essere di tipo politico nel senso che l’approvazione di una norma ad hoc rappresenta anche una norma di bandiera per comunicare chiaramente che l’organizzazione e anche la partecipazione ad un raduno che mette in pericolo l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica e la sicurezza è senz’altro un disvalore tant’è che è reato.
Una novità, però, più apparente che reale dal momento che tutt’al più questa norma potrebbe servire come un remindero anche un rafforzamento di ciò che già era possibile ieri.
Pensiamo che non è passato molto tempo dall’iniziativa del precedente Ministro dell’Interno che aveva adottato – a legislazione allora vigente – una direttiva per intervenire sulle modalità di manifestare contemperando “i diritti di chi dissente proteggendo però le attività economiche e la salute dei cittadini”: l’anno scorso avevamo titolato “manifestare e’ un diritto ma deve anche comportare dei doveri” (https://atenapress.online/2021/11/11/manifestare-e-un-diritto-ma-deve-anche-comportare-dei-doveri/ ).
Una seconda novità potrebbe essere di tipo giuridico e attiene alla cassetta degli attrezzi di cui le forze dell’ordine, la polizia giudiziaria e la magistratura potranno avvalersi: il reato oggi è un reato contro l’incolumità pubblica (insieme alla strage, l’incendio, l’inondazione, frana o valanga, il naufragio o disastro aviatorio, crollo), le pene previste per gli organizzatori (da due a sei anni) consentiranno le intercettazioni telefoniche e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e di quelle utilizzate per le le finalita’ dell’occupazione.
Veniamo ora al tema politico posto da chi ha criticato la scelta del Governo ipotizzando che essa possa prestarsi a letture liberticide perché potrebbe essere applicata a molti casi come, ad esempio, nei confronti di chi manifesta (per la casa, per il lavoro o per l’ambiente) o per chi occupa una scuola.
Tuttavia, di per sé, questa norma non sembra proprio possa determinare un attentato alla libertà di manifestare.
Il diritto di riunirsi e di manifestare è tutelato dalla nostra Costituzione che precisa anche se la riunione avviene in un luogo pubblico chi organizza deve dare avviso alla pubblica autorità che può vietare quelle manifestazioni soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Non sembra proprio che la nuova norma sia pensata per impedire il diritto di manifestare quando questo viene esercitato secondo le regole del gioco democratico.
E così pure se chi organizza un evento musicale lo fa nel rispetto delle norme, a protezione anche di chi parteciperà a quell’evento, la nuova norma non avrà spazio applicativo.
Viceversa, chi manifesta fuori dalle regole (comprese le occupazioni scolastiche) già oggi si pone fuori dalla legalità:
Potrà forse invocare come causa di giustificazione l’esercizio di un diritto come quello per la casa, per il lavoro o per l’ambiente: ma questa è questione generale su cui si può discutere a lungo e non tocca il nuovo reato diversamente da come tocca gli altri reati astrattamente ipotizzabili sino ad oggi.
Rispetto a questi temi, però, la nuova norma non aggiunge nulla: si potrà discutere di alcuni aspetti (come quello della pena, ad esempio, o della formulazione della fattispecie oppure ancora dell’esistenza delle ragioni di urgenza che possano aver giustificato il ricorso al decreto legge) e il passaggio parlamentare per la conversione in legge, si spera, sarà proprio il momento per un’approfondita riflessione.
Ieri sono state colpite e fortemente danneggiate 4 navi da guerra russe nella principale base navale Russa affacciata verso lo sbocco al Mar Nero, nel porto di Sebastopoli. Ovviamente le responsabilità sono da ricondurre direttamente agli occupati Ucraini che si difendono nelle zone periferiche della propria nazione ed anche nelle zone strategicamente rilevanti alla difesa, con una serie di interventi militari sempre più simili alla guerriglia vietnamita.
sommergibile all’ingresso del porto di Sebastopoli
Una guerriglia che ha dalla sua in più, rispetto a quella utilizzata dai vietnamiti negli anni sessanta, l’appoggio dell’occidente al completo, con tutte le tecnologie ed i fondi che vengono palesemente offerti, ed anche la digitalizzazione della guerra che è divenuta alla portata economica anche dei piccoli stati. Non aggiungiamo nelle motivazioni della grande resistenza ucraina quelle dei rispettivi popoli in battaglia, in quanto evidenti: Ad un contadino della Siberia non è chiaro neanche dove si trovi l’Ucraina, figuriamoci se possa essere in grado di trovare le motivazioni valide per una sua efficace partecipazione al conflitto come combattente energico.
nave nel porto di Sebastopoli
Quindi torniamo alla digitalizzazione della guerra, ai droni, che sempre più frequentemente la stanno facendo da padrone in un conflitto che è partito come una guerra dell”800 e che si sta rivelando come una catastrofe umanitaria. Innanzitutto il drone costa poco, è facilmente trasportabile, può essere utilizzato con un controllo automatico oppure reumatizzato anche a migliaia di chilometri di distanza. In caso di cattura, non è facile per il nemico identificare con chiarezza quale sia il responsabile della progettazione dell’attacco in quanto il drone non reca con se loghi, piloti oppure tecnologie univocamente riconducibili ad un singolo stato o gruppo. Ed infatti, anche grazie alla tipica ambiguità di Kiev sempre mantenuta come politica di riferimento nel caso di azioni militari fuori dai normali teatri di guerra con dichiarazioni quale l’ultima: ”potrebbe trattarsi di un incidente nell’uso delle munizioni” a sberleffo ulteriore del nemico in difficoltà cognitiva sulle dinamiche di quanto accaduto. Rimane che le conseguenze in termini di vite in questo ultimo attacco sono dell’ordine di centinaia. La reazione della Russia è stata immediata: il ricatto è di ritirarsi dall’accordo sulla consegna di grano e fertilizzanti, di proprietà Ucraina e sequestrati dalla Russia proprio nel porto di Sebastopoli, come ritorsione verso gli stati stranieri che hanno contribuito all’attacco fornendo materiali bellici oppure supporto logistico. Questa decisione, se non revocata, causerà un disastro umanitario specie nei paesi più poveri del mondo, che si troverebbero senza le materie prime per fare il pane e derivati dei cereali, fonte primaria di alimentazione del popolo. Alle nostre latitudini l’effetto invece sarà quello di un ulteriore incremento dell’inflazione,attualmente già al 12% su base tendenziale annua. Per quanto riguarda invece gli effetti a lungo termine di queste azioni belliche contro un nemico enorme come la Russia va ricordata una regola fondamentale ricordata dall’Onorevole D’Alema in una recente intervista: ”D’accordo, mandiamo le armi. Ma cosa vuol dire vinceremo la guerra combattendo con una potenza nucleare?”.
L’onorevole D’Alema
Su questo punto andrebbero ripensate nella loro visione complessiva ed a medio-lungo termine, le azioni belliche contro il gigante nucleare russo.
Queen Elizabeth II/ Britain longest-reigning monarch dies aged 96.
di Lucrezia Andrea Locuratolo
Gli anni venti del duemila sembrano urlare a squarciagola senza sosta un unico messaggio: uomo non sei immortale. Se all’inizio la pandemia aveva fatto vacillare le nostre certezze, la guerra in Ucraina le ha distrutte, ma è solo adesso che la più grande illusione dell’uomo contemporaneo viene inghiottita dal vuoto. Elisabetta II, simbolo di un’umoristica immortalità che rinvigoriva con la sua vita la forza di una stirpe, non c’è più. Le certezze che a fatica l’uomo occidentale ricostruì alla fine della seconda guerra mondiale si stanno lentamente sgretolando davanti i nostri occhi.
Elisabetta alle prese con il primogenito Carlo all’epoca erede al trono ed oggi Re
Questo articolo non vuole essere uno smielato necrologio della Regina, della quale si vuole ricordare la gloriosa storia, che nemmeno la morte potrà cancellare.
Elizabeth Alexandra Mary nasce il 21 aprile del 1926, divenendo regina all’età di venticinque anni, il 6 febbraio del 1952 per la precisione. Come spesso accade il destino non sottostà ad alcuna legge umana e l’incoronazione della regina ne è un esempio. Infatti Sua Maestà fa parte di un ramo cadetto della famiglia reale, che non avrebbe avuto mai accesso al trono, non fosse stato per l’abdicazione di Edoardo VIII, che rese Giorgio VI, padre della Regina, re del Regno Unito. Tuttavia la salute precaria di Giorgio VI rende instabile il suo regno, tanto che dopo soli sedici anni la corona passa nelle mani della regina Elisabetta, la quale già durante la seconda guerra mondiale si era contraddistinta, avendo servito alla Auxiliary Terrirorial Service, ovvero il ramo femminile della British Army. In seguito alla fine della seconda guerra mondiale, data la precaria salute di Giorgio VI, rimasto sempre al fianco dei suoi cittadini durante la guerra, l’allora erede al trono Elisabetta deve sostituire il padre durante varie delegazioni internazionali. Infatti la regina riceve la notizia della morte del padre e della sua imminente incoronazione mentre si trova in Kenya e a comunicarle ciò è proprio l’amato Filippo, che presiederà alla sua cerimonia di incoronazione.
Elisabetta mentre presta servizio nella seconda guerra mondiale 1945
Sicuramente uno degli aspetti più importanti della vita della regina è l’amore per Filippo di Edimburgo, il quale è stato definito dalla sovrana stessa come la sua roccia. In effetti la storia d’amore tra Elisabetta e Filippo sembra uscita da una favola, già dal loro primo incontro: lei, a soli tredici anni, vede l’allora principe greco a e già si definisce innamorata di lui. Nonostante lo scambio di lettere che segue un secondo incontro del 1939, il loro fidanzamento ufficiale avviene solo nel 1947, suscitando scalpore a causa dell’origine straniera di Filippo e la sua condizione economica non agiata, ma Elisabetta non dà credito a tali critiche. Dall’altra parte Filippo rinuncia al titolo di principe di Grecia e Danimarca, convertendosi anche all’Anglicanesimo, per stare al fianco dell’amata Elisabetta. Tuttavia, la rinuncia che turba di più Filippo è rappresentata dall’impossibilità di tramandare il proprio cognome ai figli, fatto che avrebbe di conseguenza cambiato il nome della casa reale, il che sarebbe stato inaccettabile per il popolo inglese. Nonostante gli innumerevoli ostacoli posti sul loro cammino, Elisabetta e Filippo rimangono insieme finché la morte non li ha separati. La presenza solitaria della regina ai funerali del marito è l’emblema romanticamente straziante di un amore che ha oltrepassato innumerevoli ostacoli, davanti al quale nemmeno l’imperturbabile Regina può trattenere una lacrima.
Elisabetta sul trono
Nei suoi settanta anni di regno la Regina Elisabetta ha assistito ad eventi epocali, che hanno segnato indelebilmente la storia della contemporaneità. Già a partire dagli albori del suo regno la Regina assiste e partecipa attivamente al fenomeno della decolonializzazione in Africa e nei Caraibi, tra gli anni ’60-‘70, consentendo a più di venti stati di proclamare la propria indipendenza dal Regno Unito.
Nel 1972 la regina diventa la prima sovrana britannica a visitare un paese comunista, recandosi nella Jugoslavia di Tito.
In seguito durante gli anni ottanta la Regina instaura un legame d’amicizia con il presidente americano Ronald Reagan, sebbene i rapporti non saranno sempre idilliaci, come testimonia il dissenso della regina all’invasione da parte delle truppe americane di Grenada, stato membro del Commonwealth.
Gli anni ottanta sono anche gli anni che vedono come protagonista sulla scena politica britannica Margaret Thatcher, divenuta primo ministro inglese nel 1979, con la quale la regina Elisabetta intrattiene un rapporto di odi et amo, tanto che la Regina confessò in pubblico di “detestare cordialmente” la Thatcher. Tuttavia allo stesso tempo non si può non considerare la violazione del protocollo da parte della Regina, che dopo la morte della Thatcher non solo indice i funerali di stato, ma ne prende anche parte, fatto che prima di allora si era verificato solo con la morte di Winston Churchill. Un altro fatto che evidenzia la stima che la Regina provava per la Lady di Ferro è l’insistenza con cui ha richiesto che il su ex-Primo Ministro fosse insignita del titolo di baronessa. Inoltre esiste un aneddoto molto interessante che riguarda il rapporto tra la Thatcher ed Elisabetta. Si dice infatti che la Thatcher, rimasta sconvolta dopo aver visto la Regina lavare i piatti su cui lei stessa aveva mangiato, abbia dichiarato che non poteva accettare che Sua Maestà lavasse i piatti, se non con dei guanti di gomma, che in effetti la Thatcher in seguito regalerà alla regina.
Negli anni novanta Elisabetta II assiste ad una messa in discussione del potere monarchico, dovuta a scandali interni alla famiglia reale e alle enormi ricchezze possedute dalla Regina, che definirà il 1992 come annus horribilis, espressione che richiama il 69 d.C., anno successivo alla morte di Nerone, caratterizzato da disordini pubblici in tutto l’impero romano, che vide salire al trono in un solo anno quattro imperatori diversi, prima dell’instaurazione della dinastia dei Flavi. Tuttavia è proprio in questo momento che la regina mostra tutta la sua devozione per il Regno Unito, sfoggiando anche un incredibile senso di umiltà e autocritica. La regina, infatti, riconosce la legittimità della messa in discussione di ogni forma di potere, proprio per questo a partire dal 1993 Sua Maestà inizia a pagare le tasse. Ciononostante gli anni novanta non sono affatto un periodo semplice per Elisabetta II, che deve gestire le vicende della separazione del figlio Carlo da Diana Spencer, questione che, soprattutto considerata la tragica morte di Lady D, procura non poca impopolarità negli ambienti reali.
Gli anni duemila non sono affatto facili da affrontare per la sovrana che si appresta a festeggiare il giubileo d’oro, arrivando dunque a tagliare il traguardo dei 50 anni di regno. L’inizio degli anni duemila, infatti, è costellato di dolori personali che affliggono la Regina, ad incominciare alla morte della sorella Margaret, alla quale la regina era indissolubilmente legata. Il mese successivo alla morte della sorella, Elisabetta II si trova a dover affrontare un altro grande dolore, ovvero la morte dell’ultracentenaria Regina Madre, artefice del successo di un fragile re Giorgio VI prima, e di un’inesperta Regina Elisabetta, salita al trono a soli 25 anni, dopo.
Nel 2012 la Regina festeggia il giubileo di diamante, traguardo raggiunto da nessun monarca inglese prima di allora. Durante i festeggiamenti la regina, accompagnata dal fedelissimo marito, gira tutta l’Inghilterra, mentre i figli e i nipoti viaggiano per i paesi del Commonwealth.
ultimo ritratto ufficiale di Elisabetta
I primi due anni degli anni venti del duemila sono pieni di sofferenze per Elisabetta, la quale, nonostante la veneranda età, riesce a dar forza al suo paese durante la pandemia, rivolgendosi direttamente ai suoi sudditi per la quarta volta in vita sua: prima di allora un simile evento si era verificato esclusivamente per la Guerra del Golfo del 1991, la morte di Lady Diana del 1997 e la morte della Regina Madre del 2002. Oltre all’emergenza Covid-19, in questo periodo la regina si trova ad affrontare il dolore più intenso della sua lunghissima vita: la morte del suo amato Filippo, la cui dipartita ha lasciato dentro di lei un vuoto incolmabile.
Poco più di un anno dopo la morte del marito, una delle regine più amate della storia si spegne l’8 settembre del 2022, dopo aver scritto la storia non solo del Regno Unito, ma dell’umanità.
Proprio ieri è giunta la notizia dei dati sull’inflazione da parte dell’ISTAT: Secondo le stime preliminari, nel mese di agosto 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,8% su base mensile e dell’8,4% su base annua (da +7,9% del mese precedente).
L’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale si deve prevalentemente da una parte ai prezzi dei Beni energetici (la cui crescita passa da +42,9% di luglio a +44,9%) e in particolare degli Energetici non regolamentati (da +39,8% a +41,6%; i prezzi dei Beni energetici regolamentati continuano a registrare una crescita molto elevata ma stabile a +47,9%), e dall’altra a quelli dei Beni alimentaria lavorati (da +9,5% a +10,5%) e dei Beni durevoli (da +3,3% a +3,9%). Registrano, invece, un rallentamento i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +8,9% a +8,4%).
Che significa tutto questo? In parole poverew significa che se un cittadino tiene in casa mille euro, l’anno successivo il valore di questi mille euro si è ridotto di 84 euro.
bambini tedeschi negli anni 20 giocano con mazzette di banconote svalutate
Quali possono essere le conseguenze pratiche in una situazione del genere, una situazione che non si vedeva dal lontano 1985? Negli ultimi anni i prezzi si sono mantenuti pressoché costanti con la conseguenza di una stabilità sulle variazioni economiche dei servizi, degli stipendi etc.
Ma ora che l’inflazione si avvicina a valori a due cifre che succede nel mondo reale, al cittadino comune?
Gli effetti della inflazione galoppante sono principalmente quelli elencati qui sotto:
1- sulla distribuizone del reddito
2-sui crediti
3-sui risparmi
4-sulla produzione
5-sui rapporti internazionali
6-sul debito pubblico
Sul primo punto, la distribuzione del reddito va precisato che le conseguenze negative dell’inflazione saranno presenti principalmente nei cittadini che percepiscono un reddito fisso: Dipendenti e pensionati. Questo per il fatto che, mentre per dipendenti e pensionati gli assegni mensili vengono aggiornati periodicamente, con cadenza anche pluriannuale, l’inflazione non aspetta e si aggiorna mensilmente. Questo provoca una riduzione del potere di acquisto traducibile in un ridotto valore dello stipendio o della pensione. Nel 1945 , per ridurre gli effetti di questo fenomeno, fu introdotto il meccanismo denominato ‘scala mobile’, era un adeguamento automatico dei salari all’inflazione, abolito nel 1992. Gli altri cittadini, quelli autonomi, non subiscono questo effetto negativo in quanto possono adeguare le loro pretese (sempre immaginando che il mercato riesca a fare fronte all’aumento ptoposto, specie per i beni non essenziali).
Sul secondo punto, gli effetti sul credito sono evidenti: i creditori, con un piano programmato in precedenza, restituiranno una somma nominalmente uguale a quella prevista, ma di fatto inferiore in quanto gravata dall’inflazione.
Terzo punto: I risparmi che sono conservati oppure depositati nelle banche subiranno una riduzione facilmente calcolabile sulla base delle percentuali di inflazione calcolata. I cittadini e le imprese che hanno una liquidità si rivolgeranno ai cosidetti ‘beni rifugio’, ovvero i beni mobili oppure immobili che seguono tipicamente le oscillazioni dell’inflazione. Ci si riferisce a quelli del passato: case, diamanti,oro, terreni etc.
Quarto punto la produzione delle imprese, specie nel primo periodo di incremento di inflazione, produce una maggiorazione dell’utile che viene definito in economia ‘rendita di inflazione’ ovvero la differenza tra il valore del bene prodotto prima e dopo l’aumento della inflazione a parità di costo dei materiali primi acquistati ed immagazzinati prima dell’incremento inlazionistico.
I rapporti internazionali prevedono un miglioramento oppure un peggioramento dei flussi di export sulla base dell’aumento dell’inflazione diversificato nei diversi paesi con la conseguenza di prezzi diversi per lo stesso bene nel mercato internazionale. Per questo stesso molti paesi che negli anni hanno avuto una valuta ‘debole’ si sono avvantaggiati nel caso in cui fossero stati degli esportatori forti. In alcuni casi infatti gli stati decidono una riduzione del valore della propria moneta (svalutazione) proprio per consentire, nel breve periodo una forte politica di export.
francobollo all’epoca dell’iperinflazione tedesca degli anni tra le due guerre
Fu emblematico l’andamento del Marco nella Germania ante guerra di cui riportiamo alcuni dati. La forte svalutazione del marco inizio’ nel secondo decennio del secolo scorso: la quantità di moneta che la banca centrale tedesca mise in circolazione per far fronte alle spese di guerra comportò già negli anni del conflitto ripide impennate dei prezzi, tanto che nel 1920 il costo della vita in Germania era già nove-dieci volte superiore a quello del 1914 (se prima della guerra servivano 4 marchi per comprare un dollaro, nel giugno del 1920 si era arrivati a 40 marchi per dollaro), per toccare la vetta nel novembre del 1923, quando per un dollaro servivano più di 4.200 miliardi di marchi. “L’inflazione”, ha scritto Adam Fergusson, autore di uno dei più noti studi sull’iperinflazione tedesca del 1923, “aggravò ogni problema e distrusse qualsiasi possibilità di rinascita nazionale o di successo individuale e infine produsse proprio quelle condizioni che permisero a estremisti di destra e di sinistra di sollevare le masse contro lo Stato, mettendo classe contro classe, razza contro razza, famiglia contro famiglia, marito contro moglie, lavoratore contro lavoratore, città contro campagna. L’inflazione minò sottilmente la compattezza nazionale proprio quando il bisogno e la necessità avrebbero potuto agire da catalizzatori e da stimoli. A causa della sua natura discriminatoria e profondamente ingiusta, fece sì che ciascuno desse il peggio di se stesso, lavoratori e industriali, agricoltori e braccianti, banchieri e bottegai, politici e burocrati, casalinghe, soldati, mercanti, minatori, strozzini, pensionati, medici, sindacalisti, studenti e turisti, anche questi ultimi. Suscitò paura e insicurezza fra persone che ne avevano conosciuta già fin troppa, favorì sentimenti xenofobi, incoraggiò il disprezzo per il governo e la rivolta contro la legge e l’ordine. Fece opera di corruzione dove questa era sconosciuta e talvolta, troppe volte, dove questa avrebbe dovuto ritenersi impossibile. Costituì il peggiore dei preludi alla grande depressione (anche se distante cronologicamente da questa) e agli eventi che ne seguirono”.
Un ultimo effetto è quello sul debito pubblico. Ovvero lo stato che acquista beni e servizi dovrà spendere di più indebitandosi con la conseguenza che il suo indebitamento produce un aumento della inflazione in una spirale negativa difficile da fermare nel breve periodo.
Ma esistono soggetti che sono avvantaggiati dall’inflazione? Certamente e principalmente sono:
Importatori
Debitori
Imprenditori e commercianti
Titolari di forme di reddito variabile e non fisso.
Va inoltre precisato che molti dei manager attuali, con età sui 40 anni, non hanno mai avuto a che fare con fenomeni inflazionistici grandi come quelli che stanno per arrivare, e questa sfida non sarà facile per loro e per tutti i cittadini italiani.
Prendendo come spunto le prossime elezioni politiche, diversi partecipanti al dialogo politico italiano hanno rispolverato in numerose occasioni il termine ‘fascista’ lanciato contro oppositori più o meno verosimilmente. Gli esempi sono diversi e meritano una particolare attenzione in quanto da queste esternazioni emerge una nuova narrazione del fascismo, diversa da quella che lo ha descritto nel dopoguerra, e che descriveremo più avanti, oppure nel periodo della prima era repubblicana italiana. Gli esempi che prenderemo in considerazione sono: la esternazione di Angelo Bonelli, leader di Europa Verde nei confronti di Carlo Calenda leader di AZIONE ed il fuoco incrociato proveniente da esponenti degli schieramenti politici della sinistra italiana nei confronti di Giorgia meloni, leader di Fratelli d’Italia (FDI), in corsa per diventare la prima presidente del consiglio donna d’Italia.
Iniziamo con la esternazione di Bonelli Verso Calenda (su twitter) :”Dice Calenda che usare l’esercito non è di destra e né di sinistra? È vero perché è drammaticamente fascista. Calenda non ha strategia energetica e parla per slogan, come sul nucleare: energia costosissima che ha portato la Francia ad indebitarsi. Il futuro sono le rinnovabili”.
E’ evidente in questa esternazione il valore che si da al termine fascista, proprio per il fatto che un qualisasi paese democratico è munito di un esercito anche per evitare aggressioni antidemocratiche e fascuste appunto. Oppure più recentemente l’aggressione a Giorgia Meloni che non riesce a terminare una intervista in contraddittorio senza che sia interrotta con il termine ‘fascista’ da numerosi interlocutori. Ad esempio quando viene accusata per avere utilizzato slogan a favore della famiglia di Dio e della patria, che è il tipico slogan del Papa, al quale nessuno pensa di dare del fascista, almeno per il momento. Addirittura si sono viste manifestazioni di politici come Cirinnà che offendeva il termine patria suscitando l’effetto contrario a quello desiderato.
Monica Cirinnà, senatrice del Partito Democratico
Certamente probabilmente l’ha fatta un po troppo facile nel dire che Giorgia Meloni respinge le radici neofasciste di alcuni suoi seguaci della prima ora, ma da li ad aggredire ogni dichiarazione in maniera netta come dichiarazioni ‘evidentemente fasciste’ non fa altro che alimentare una narrazione che normalizza il fascismo .
Aggressione di Giorgia Meloni a Livorno con sputi e bottigliate al grido di ‘fascista’.
Si perchè sostenere ad esempio che la bandiera italiana e lo slogan viva la patria, ad esempio, sia uno slogan fascista, rende normale agli occhi della popolazione italiana l’ideologia fascista, quella vera , quella che non si presenta alle elezioni ed accetta incarichi giurando sulla costituzione democratica, ma che impone le proprie idee con la violenza estrema e sistematica. In sostanza la dedizione di alcuni attori del dibattito politico verso la giusta lotta contro il fascismo, può trasformarsi in un boomerang nel caso in cui se ne normalizza la citazione in contesti che non rilevano, provocando un potenziale pericolo di non rilevamento di casi evidentemente neo-fascisti che non sarebbero visti per una sovraesposizione mediatica degli aggressori antifascisti verso ogni forma di espressione a loro contraria, appunto appellandola con il termine ‘fascista’.
Una narrazione del fascismo che pur essendo opposta rispetto a quella filo-fascista e nostalgica delle testate giornalistiche post-belliche, che citeremo avanti, potrebbe provocare involontariamente gli stessi risultati per quello che è il fine ultimo di entrambe le narrazioni: la normalizzazione del fascismo (in senso positivo ed in senso negativo).
Il sorvolo delle Frecce Tricolori
Normalizzavano il fascismo la rivista ‘L’uomo qualunque di Guglielmo Giannini dal 1944 , lo faceva il borghese di Leo Longanesi dal 1950, lo ha fatto su queste testate anche Indro Montanelli che arrivò a sostenere che il regime fascista era buono perchè agli oppositori consentiva una ‘vacanza Balneare senza ucciderne nessuno. Quella vacanza balneare era l’esilio. In sostanza la narrazione di quel periodo tendeva ad una memoria selettiva secondo cui il fascismo andava riscattato in quanto aveva portato in alto il concetto di patria dall’infamia in cui lo avevano precipitato le sinistre filo-bolsceviche, aveva fatto andare i treni in orario, aveva bonificato le paludi, aveva conciliato stato e chiesa, aveva trasformato un paese operetta in una potenza mondiale, dimenticando però le violenze il disastro sociale ed economico, i milioni di morti,le leggi razziali del 1938 etc.
Entrambe queste due narrazioni sono tossiche nei confronti di una giusta narrazione di una ideologia, quella Fascista che distrusse l’Italia con un danno che stiamo ancora pagando, da una parte minimizzandolo e dall’altra richiamandolo per ogni evento anche non pertinente con l’effetto tipico della favola di Esopo : Al lupo! Al lupo!
Parliamo oggi di un grande escluso alla cerimonia degli Oscar 2022. Mi riferisco ovviamente al nuovo film di Wes Anderson: “The French Dispatch”, film che a mio modesto parere non ha nulla da invidiare alla ben più acclamata pellicola del regista statunitense, “Grand Budapest Hotel.”
La trama è molto articolata e prevede la narrazione di tre storie, il cui unico comune denominatore è rappresentato dal fatto che questi racconti verranno riportati nell’ultima edizione del giornale “The French Dispatch.” La rivista infatti sta chiudendo i battenti per la morte del suo direttore, secondo la cui volontà, l’ultima uscita del giornale sarà riservata al suo necrologio e ai pezzi migliori pubblicati nella storia della suddetta rivista. Tra questi la storia di un pittore criminale affetto da evidenti disturbi psicologici, il racconto di una rivoluzione studentesca con relativa stesura del manifesto e la narrazione di un rapimento in stile fumettone.
La cosa che subito salta all’occhio, oltre l’intricata sceneggiatura composta con estrema maestria, è sicuramente la fotografia, frutto della fedele collaborazione del regista statunitense con Robert Yeoman. In questo film possiamo vedere i colori brillanti che caratterizzando le pellicole di Wes Anderson esplodere sullo schermo con grande potenza estetica, nonostante vi sia da segnalare anche la presenza di un bianco e nero abbastanza inconsueto nella produzione del regista statunitense. Un’altra meravigliosa firma del regista americano è evidente nelle geometrie delle inquadrature, quasi maniacali, al punto che ricordano molto lo stile di Kubrick.
Sicuramente un altro aspetto che rende il film particolarmente godibile è la vastità delle tematiche affrontate: dalla follia artistica e la dipendenza affettiva al desiderio dei giovani di cambiare il mondo è di goderne le bellezze.
In generale credo che il racconto più riuscito sia “Il capolavoro di cemento”, dove vediamo rappresentata la storia di un’artista fuori di testa che si innamora della sua guardia in prigione, la quale diventa la sua musa. In questa sezione il personaggio protagonista viene tratteggiato quasi come un’artista decadente, un Baudelaire pittore potremmo definirlo, il quale, nonostante il suo aspetto rozzo e il temperamento violento, mostra una spiccata sensibilità artistica e un talento fuori dal comune.
Un altro aspetto particolarmente degno di nota è la vena ironica presente in ogni racconto, proprio questo aspetto conferisce un’aura di leggerezza anche nelle storie più tristi: serio e comico si mescolano come due facce della stessa medaglia, bilanciando e dando equilibrio al prodotto finale.
Un difetto che si potrebbe ravvisare, ma che per me non è tale, è la disperata ricerca di uno stile perfetto e compiuto, quasi come se l’autore volesse chiudersi in un castello di ricercatezza elitaria. Tuttavia trovo abbastanza superficiali e degne di poca considerazione le critiche mosse a Wes Anderson per aver creato un film che rappresenta un omaggio stucchevole al suo stesso stile, anche perché, se c’è una cosa che rende un artista fuori dal comune, è proprio il sapersi distinguere e essere in grado di comunicare utilizzando un linguaggio proprio e riconoscibile.
Per concludere ritengo che il film sia estremamente originale, complesso e allo stesso tempo leggero e godibile, soprattutto sono fermamente convinta che meritasse maggior visibilità, in particolare se si tiene in considerazione il fatto che, in un cinema che va sempre più incontro ad un processo di omologazione e standardizzazione, autori come Wes Anderson non vanno solo tutelati, ma acclamati.