mercoledì, Maggio 8, 2024
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Prolungare i giochi dell’infanzia: Amarcord ed è stata la mano di Dio. 

di Lucrezia Andrea Locuratolo

“Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia.” François Truffaut

Infanzia e cinema, due elementi che si sposano bene insieme: entrambi sono il motore di una fabbrica di sogni, una sovversione della realtà dominata da fantasia ed illusione. Non è un caso che moltissimi registi abbiano dimostrato grande attaccamento sentimentale alla propria infanzia, tanto da riproporla sul grande schermo. Un esempio di quanto detto è sicuramente “I 400 colpi” di Truffaut, a mio avviso uno dei film più belli della storia del cinema, ma sicuramente sono presenti anche esempi più moderni, come “Belfast” di Kenneth Branagh, film da me già recensito (https://atenapress.online/2022/04/07/belfast-un-bianco-e-nero-che-insegna-limportanza-del-colore/). Non è ora il tempo e il luogo di trattare di ogni film autobiografico, piuttosto l’obiettivo di questo articolo è quello di analizzare i punti di contatto e contrasto di due film che sembrano avere molte cose in comune: “Amarcord” (1973) di Federico Fellini ed “È stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino. Sicuramente il tema dell’infanzia non è tanto presente nei film citati, quanto invece il tema autobiografico e dell’innocenza strappata, elementi che  sembrano avvicinare le pellicole dei registi italiani alla letteratura cinematografia dell’infanzia. Per far contenti i più scrupolosi mi limiterò a parlare di film autobiografici, anziché di letteratura cinematografica d’infanzia. Ovviamente quello che si propone qui non è un confronto volto a stabilire la superiorità di un film rispetto all’altro, sarebbe anche ingeneroso nei confronti di Sorrentino, considerando che se “È stata la mano di Dio” è un ottimo film, Amarcord è un capolavoro indiscusso, nonché uno dei film più belli della storia del cinema.  

Dunque abbiamo detto che entrambi i film trattano del passato dei rispettivi registi, i quali però hanno vissuto in contesti storici e sociali molto diversi: da una parte abbiamo Titta, alterego di Federico Fellini, che vive nella Rimini fascista in una casa di chiara ideologia antifascista; dall’altra parte abbiamo Fabietto Schisa, alterego di Paolo Sorrentino, che vive a Napoli negli anni Ottanta. Fa sorridere pensare che ciò che contestualizza maggiormente il periodo storico in cui sono ambientati i film è da una parte il festeggiamento del sabato fascista, dall’altra l’arrivo di Maradona al Napoli. È curioso che tra questi due il film caratterizzato da maggior leggerezza sia quello ambientato nel ventennio, un periodo orribile per la storia dell’Italia, mentre il film più drammatico è ambientato negli anni ’80, periodo estremamente florido per l’Italia e soprattutto per la città di Napoli, che vede arrivare un personaggio che diventerà un vero simbolo per la città: Maradona.

Un altro elemento che accomuna e allo stesso tempo distingue i due film è il protagonismo della città. Sebbene Sorrentino voglia con il suo film omaggiare Napoli, il focus non è mai sulla città stessa, che viene sì adorata e celebrata, ma mai resa protagonista, questo perché il film ruota interamente attorno al protagonista, tanto che Napoli assume un ruolo importante quasi solo per il trasferimento di Maradona, che avrà un impatto devastante e salvifico nella vita del protagonista. Diverso il discorso che riguarda Amarcord, dove il vero protagonista non è l’altergo di Fellini, ma la Rimini del ventennio fascista, ma soprattutto la sua gente. Titta è protagonista del film nella misura in cui fa parte di una società che il regista ricorda con malinconica commozione, una famiglia di cui il regista non può che sentirsi parte. Non è un caso che ad aprire il film sia proprio il passaggio dall’inverno alla primavera, celebrato dalla comunità in una festa dove compaiono i componenti di questa. In tale festività si mischia l’alterego del regista in maniera così anonima che noi nemmeno riusciamo a riconoscere che questo personaggio rappresenta il Fellini adolescente. In seguito alla celebrazione comunitaria, troviamo un avvocato che con la sua retorica ampollosa celebra la storia e le bellezze di Rimini, rimarcando il protagonismo della città all’interno del film. In effetti anche nel film di Sorrentino Napoli viene dipinta con parole d’amore e paesaggi unici, ma comunque il ruolo che assume la città in quanto tale nel film è più debole rispetto al ruolo che assume Rimini e la sua comunità in Amarcord, proprio per il fatto che la pellicola di Sorrentino sposta il suo focus sui drammi personali del protagonista. 

Vediamo inoltre che “È stata la mano di Dio” si basa sostanzialmente su un preciso e circoscritto evento della vita del regista napoletano: la morte dei genitori, evento che per l’appunto rappresenta un vero e proprio spartiacque nel film. La centralità di tale evento all’interno del film è testimoniata anche dal titolo, che fa riferimento al fatto che la vita del protagonista è stata salvata da Maradona. Ben diversa invece è la trama di Amarcord, dove non c’è alcun evento in particolare attorno a cui ruoti la narrazione, che per l’appunto si caratterizza come un malinconico flusso di coscienza che ripercorre le memorie di una comunità che ha rappresentato tanto per il regista. La stessa morte della madre di Titta è inserita nella trama come un evento che ha la stessa valenza strutturale delle altre memorie che costituiscono il quadro delle reminiscenze del passato. 

A riprova della mancanza di un evento focale attorno a cui giri la trama e come testimonianza del non protagonismo del personaggio principale, si cita il finale di Amarcord, dove “La Gradisca” abbandona, in seguito al matrimonio, la comunità di Rimini. Non è il protagonista che abbandona la città, come nel caso di “È stata la mano di Dio.” Tuttavia in entrambi i casi la partenza simboleggia un abbandono del passato e un processo di maturazione. Ma il fatto che la partenza in Amarcord sia de “La Gradisca”, e non di Tita, ribadisce il protagonismo della comunità a discapito del protagonismo del protagonista, tanto che il termine della narrazione è rappresentato dall’addio di un elemento fondante della società, che ha rappresentato la fine di un’importante fase della vita del protagonista. 

Ad accomunare però i film è però la figura dei due personaggi principali: le loro sofferenze, le loro emozioni, i primi timidi incontri con l’amore. Tutto ciò dovrebbe far riflettere sul fatto che sebbene le società e i tempi cambiano le emozioni e i sentimenti degli esseri umani rimangono gli stessi. 

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