di Fabio Valerini
Salus rei publicae suprema lex: all’ottava votazione i grandi elettori con hanno confermato Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, che pure aveva fatto intendere chiaramente, e più volte, che non era opportuna costituzionalmente la sua rielezione.
Tuttavia, nel pomeriggio Mattarella, pur avendo ribadito che avrebbe avuto altri piani per gli anni a venire, mosso da spirito di servizio, ha accettato per l’esigenza politica di superare l’impasse della politica.
La rielezione, però, è indice che c’è qualcosa che non va, specie quando avviene malgrado il pensiero del rieletto.
Manca qualcosa nel nostro sistema politico-istituzionale: la capacità della politica di assumere le proprie decisioni come oggi le difficoltà nell’elezione della più alta carica dello Stato hanno confermato (sarebbe stata, forse, diversa la rielezione alla prima votazione).
La rielezione del presidente della Repubblica uscente, certamente ammessa dalla Costituzione, dovrebbe essere – ce lo aveva ricordato negli ultimi tempi anche Mattarella riportandosi anche al suo predecessore Leone – del tutto eccezionale.
Oggi la rielezione rischia di diventare una consuetudine rispetto alla quale sono state espresse molte perplessità, che partono da tempi lontani con Segni e Leone.
Alcuni, anche recentemente – ed è il caso, ad esempio, di una forza politica che poi ha espresso pubblicamente il sostegno convinto al bis – avevano presentato un disegno di legge di riforma costituzionale (non certamente il primo) che escluderebbe la rieleggibilità del presidente della Repubblica.
Altri, sulla scorta anche di quel che si dice negli Stati Uniti, pensano che legittimare la rielezione del presidente comporta il rischio che il prossimo presidente possa passare il settennato a lavorare per la rielezione piuttosto che per il Paese.
Ma non sembra questo il timore maggiore: la figura del nostro presidente della Repubblica è figura di garanzia super partes.
E ciò anche che se, come aveva notato un illustre costituzionalista, il peso del presidente della Repubblica è inversamente proporzionale a quello del parlamento.
Draghi e Mattarella rappresentano ottimamente l’Italia all’estero e la loro presenza fa bene all’Italia: su questo non c’è dubbio, ma il problema è come sarà la scena politica una volta chiusa la seduta per l’elezione del presidente della Repubblica.
Ma i dubbi sulla capacità del parlamento di assumere decisioni sembra trovare un’ulteriore conferma proprio oggi con un’altra elezione: quella per il Presidente della Corte Costituzionale.
Il neo-presidente della Consulta Giuliano Amato ha ricordato che la politica non è stata in grado in molte occasioni di dare seguito neppure ai moniti e alle sentenze della Corte Costituzionale: spesso il Parlamento ha difficoltà a risolvere anche perché trovare un punto di equilibrio ha la sua difficoltà.
Ed allora la difficoltà maggiore del Paese è quella di assumere decisioni e questo è ciò su cui il Paese, prima che la politica, deve impegnarsi per superare i molti stalli che fermano proprio il Paese: per ora Draghi e Mattarella (ma anche la Corte Costituzionale) tamponano la situazione.
La strada per uscire comprenderà senz’altro la legge elettorale, ma dovrebbe essere fondata su una riedificazione della formazione politica e della cultura politica come consapevolezza di tutti i cittadini dell’importanza della gestione della cosa pubblica.