L’arte è un gioco serio
di Fabio Valerini
Nella medina di Marrakech il MACAAL, Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden, ospita fino al 17 luglio 2022 la mostra collettiva L’art, un jeu sérieux .
Il gioco caratterizza l’infanzia, ma accompagna tutto il corso della vita: è questo il percorso che la curatrice Meryem Sebti ha voluto offrire ai visitatori accompagnandoli non soltanto tra le opere scelte, ma anche alla ricerca delle caratteristiche di un artista e di un artista contemporaneo in particolare attraverso sette sale.
L’artista non è forse quell’eterno bambino che si rapporta al mondo attraverso il gioco? È vero che la civiltà è stata costruita fino ad oggi sui valori del sapere e del sapere fare (homo sapiens), ma è forse arrivato il tempo di un’epoca che valorizza l’homo ludens finendo poi con un’irreversibile desacralizzazione dell’arte?
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Il ruolo del gioco – spesso sottovalutato per non dire trascurato quasi del tutto nelle riflessioni sulla società – è stato al centro dell’attenzione non soltanto di Freud, ma anche, per esempio, di Johan Huizinga (secondo cui il gioco è un elemento della cultura e che precede la stessa) e di Julien Vehaeghe che ha dedicato la sua attenzione proprio alla « jouabilité de l’art ».
Ed è proprio il gioco in senso letterale che accoglie il visitatore nella sala centrale: una grande scacchiera opera di un artista marocchino di Tetuan, contornata da tre quadri dove il giocare, il riflettere sul gioco e anche il non giocare fanno da quinta all’installazione.
Ma l’artista è anche colui che può partire tanto da forme preesistenti quanto da forme create dal nulla: è comunque la sua sensibilità e la capacità di interpretare il reale e il suo possibile sviluppo che lo porta al risultato finale capace di trasmettere un messaggio forte allo spettatore.
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War Trone (2013) di Goncalo Mabunda, trasforma le armi da guerra usate nella lunga guerra civile del suo paese, il Monzambico, e che aveva caratterizzato la sua infanzia in sculture: in questo caso un trono come simbolo del potere fondato sulle armi.
La forza trasformativa e di resilienza dell’arte espressione del progetto del Mozambico Transforming Guns into Hopes in cui le armi o sono state distrutte o sono state affidate agli artisti è qui espressa con una forte carica rappresentativa.
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Così è pure per Mounir Fatmi, artista marocchino, che utilizza materiali in via di superamento indagando il rapporto società in crisi – tecnologia: il bassorilievo in mostra Ceux qui savent et ceux qui ne savent pas (2008) è un bassorilievo bianco su sfondo bianco che utilizza tubi coassiali come scrittura tradizionale araba per riportare un versetto del Corano).
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La qualità delle opere e della chiave interpretativa che la curatrice ha voluto dare e che ben spiega in un podcast della rivista d’arte Diptyk fanno della mostra un passaggio obbligato anche per approfondire la conoscenza dei molti artisti ospitati.