sabato, Aprile 20, 2024
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Il paradosso della disoccupazione tecnologica

di Furio Capozzi

Nel 1930 John Maynard Keynes presagiva in maniera drammatica i rischi che sarebbero derivati dal progresso tecnologico entro un secolo. Avvertiva che era in corso un virus all’epoca sconoosciuto e che appunto dopo un secolo si sarebbe manifestato in tutta la sua forza:

la distruzione dei posti di lavoro derivanti dal crescente esponenzialmente progresso tecnologico. Non avrebbe invece immaginato quello che invece sarebbe avvenuto a distanza dello stesso periodo: la tecnologia, che cresce ad una velocità maggiore di quella alla quale riesce ad adeguarsi il sistema della formazione, con la conseguenza che di lavoro ce n’è, tanto pure, al punto che non si trovano le maestranze, ma nei settori per i quali non ci sono lavoratori adeguatamente preparati. Le aziende stesse, non prevaricando i tempi di progresso tecnologico, non sono state in grado di allineare le competenze dei propri lavoratori e rendere le aziende esistenti competitive nel nuovo mercato globale. E’ notizia di questi giorni che le imprese non riescono a trovare in Italia un milione e mezzo di persone delle quali circa il 40% materialmente introvabili. In particolare non sono trovabili le figure legate alla tecnica, alla programmazione e prevalentemente alle attività di artigianato meccanico o digitale. Lo schema che riportiamo sotto rende perfettamente le idee:

Emerge un quadro nel quale, diversamente da quanto presagito, la meccanizzazione non ha travolto il lavoro umano oppure il lavoro è richiesto per alimentare il sistema di informatizzazione oppure dei macchinari. Complice anche la situazione della immigrazione selvaggia. E’ noto ad esempio che eserciti di lavoratori immigrati lavorano per paghe misere che rendono antieconomico ogni sistema di automatizzazione, mentre dove la automatizzazione è spinta, occorre un esercito di lavoratori capaci di manutenere, programmare, mettere in opera le apparecchiature. L’uso della intelligenza artificiale, degli algoritmi etc. hanno dato una forte spinta alla automazione ma si sono create professionalità prima inesistenti oppure relegate ad un ruolo di nicchia. Facciamo alcuni esempi:

Le agenzie immobiliari evolute vendono le case per il tramite di una esperienza sensoriale che passa attraverso le installazioni di VR (realtà virtuale) e per realizzare queste piattaforme serve chi le progetta e chi è capace di rilevare gli ambienti nel nuovo formato. Le scuole e le associazioni che vendono corsi di formazione hanno avuto una spinta enorme alla formazione a distanza frontale e vogliono essere sempre più verosimili in una forma che non sia emergenziale ma che sia strutturata. Anche qui oramai gli studenti che seguono a distanza equivae a quelli in presenza e la aspettativa è elevatissima, qui servirano programmatori, progettisti, installatori di apparecchiature interattive etc. Anche l’industria 4.0, basata sull’autoapprendimento e sul machine learning, con le conseguenze che le macchine riescono a ripararsi da sole ed autoprogrammarsi, ha bisogno di personale per presidio, progettazione, controllo e per verificare le funzioni adattive. E’ chiaro che i mercato del lavoro produttivo altamente metamorfico per adattarsi ai cambiamenti, si basa su due fattori fondamentali che sono una grossa sfida e che richiedono un approccio mentale sia in capo alla società che al singolo lavoratore di diversa natura rispetto a prima: La prima questione riguarda l’esigenza di Governi che siano nelle condizioni di capire che la scuola deve dare delle risposte ad un mondo che sta cambiando in continuazione e le risposte devo essere quelle di formare i lavoratori nei settori che sono quelli attualmente richiesti e che saranno quelli del futuro.

Occorrendo per questo una VISIONE del mondo che sia dinamica e non statica. I programmi di studio devono adeguarsi velocemente, e con loro anche la formazione ed il reclutamento degli insegnanti che, a loro volta, devono uscire dalla comfort zone del periodo precedente all’impennata tecnologica. La seconda questione riguarda la aspettativa del lavoratore del famoso e ingannevolmente sicuro posto fisso. In una società moderna e cangevole deve essere chiaro che il lavoratore, per il suo stesso bene, non avrà un posto in una scrivania per i successivi 40 anni di lavoro. Dovrà cambiare diverse volte non solo le aziende clienti ma dovrà aggiornarsi in una professione che cambierà notevolmente negli anni. Negli anni 60, 70 ed 80 era normale pensare di studiare materie che avrebbero alimentato la propria professione fino alla pensione. Oggi invece quello che ci si aspetta è che si acquisisca nelle scuole un metodo di studio dinamico che renda elastico apprendere nuove nozioni negli anni. Il futuro dei nostri antenati lavoratori era un futuro a lungo termine, il nostro futuro invece lo è a brevissimo. E la carenza della equazione scuola/lavoro=futuro florido per la collettività deve essere chiara. Certamente in tutto questo si inserirà in futuro anche tutta la schiera di lavori che, come risulta dalle recenti ricerche istat, sono stati abbandonati in massa dai lavoratori dopo aver assaporato una vita diversa nel periodo di smart working. molti hanno ritenuto non valesse la pena di lavorare per risorse scarse, molti hanno avuto modo di ripensare la propria vita e la propria professione nei settori emergenti. Sicuramente, come dicevamo prima i cambiamenti saranno sempre più grandi e sempre più ravvicinati tra loro. Recentemente Lo stato Italiano ha alimentato la formazione per il tramite degli I.T.S. Gli I.T.S. costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione. Rappresentano un’opportunità di assoluto rilievo nel panorama formativo italiano in quanto espressione di una strategia nuova fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali, con l’obiettivo di sostenere gli interventi destinati ai settori produttivi con particolare riferimento ai fabbisogni di innovazione e di trasferimento tecnologico delle piccole e medie imprese. Una giusta risposta alla domanda, nella speranza che oltre che dal governo, che l’ha creata, sia capita dai giovani.

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