sabato, Luglio 27, 2024
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Accattone: l’altro volto di Roma

di Andrea Lucrezia Locuratolo

“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.” Impressionante come dalle parole di Fabrizio De André (cfr Via Del Campo) si possa percepire in un batter d’occhio l’essenza del cinema di Pier Paolo Pasolini, che esprime tutto il suo realismo in “Accattone” (1961), film d’esordio dell’artista. Certo, se da un lato il genovese vuole ingentilire la povertà della “Genova male”, Pasolini invece vuole urlare in faccia la realtà della vita nelle borgate in tutta la sua crudezza. Ma quel che accomuna queste due straordinarie personalità letterarie del novecento è certamente il loro rifiuto di una borghesia da cui provengono, ma a cui non appartengono, e Pasolini questo ce lo dice in maniera inequivocabile proprio in “Accattone.” Non è un caso che a far da cornice al suo film d’esordio sia il Pigneto in tutta la sua cruda decadenza. Tuttavia il quartiere non gioca solo il ruolo di sfondo all’interno del dramma, anzi, sembra quasi essere un personaggio a tutti gli effetti. 

Il Regista Pierpaolo Pasolini con la telecamera sul set

Ma procediamo con ordine, in particolare esponendo brevemente la trama per chi non avesse visto il film. Vittorio Cataldi, detto Accattone, è un “ragazzo di vita” che si rifiuta di lavorare, preferendo passare le giornate a non far nulla in compagnia dei suoi amici, tutti poco avvezzi alle fatiche del lavoro. Dunque per vivere Accattone non può che sfruttare gli altri, come fa con la sua fidanzata Maddalena, la quale è costretta a prostituirsi per sfamare il fidanzato. Quest’ultimo si trova ad essere responsabile, seppur in maniera indiretta, della condanna ad un anno di galera della fidanzata. In seguito a questo evento il protagonista fa la conoscenza di Stella, donna di cui si innamora per la sua purezza. Tuttavia, essendo rimasto senza soldi, Accattone prova a portare anche Stella sulla strada della prostituzione, sebbene la purezza di questa sia all’atto pratico totalmente incompatibile con l’attività che il protagonista vuole che svolga. Quindi, essendo Accattone innamorato della ragazza, non la obbliga a prostituirsi, provando per la prima volta nella sua vita a lavorare. Ciononostante l’esperienza non va a buon fine, infatti essendosi subito stancato del lavoro, il protagonista ricomincia a rubare per sopravvivere, decisione che lo porterà alla morte. Le ultime parole pronunciate da Accattone saranno “ora sto bene.”

Peculiarità del film di cui ho brevemente esposto la trama è come il protagonista arrivi a simboleggiare la borgata stessa, fondendosi in un tutt’uno con essa: di fatto Accattone non esisterebbe senza il Pigneto e senza quest’ultimo nemmeno il film stesso potrebbe esistere, almeno per come lo conosciamo noi, ed è proprio la decadenza e la sofferenza di questo mondo così surreale che dà movimento alla trama. Di fatto l’operazione che compie Pasolini è quella di prendere tutto l’abisso fatto di strepiti e melma rendendoli arte, senza però che essi vengano privati della loro natura, e senza che questa sia ingentilita o imbellettata con l’artificio della fantasia. 

Vediamo dunque come i protagonisti, personaggi tanto umili quanto autentici, si vadano a mescolare con il territorio per creare un’unione artistica inscindibile, tanto che gli uni non possono esistere senza l’altro: i personaggi sono il prodotto di quel territorio in cui abitano, il territorio è frutto dei cambiamenti che i personaggi operano su di esso. E qui vediamo come la Roma monumentale, teatro delle turbolenti vite dei borghesi, a cui darà ampio spazio Fellini, rappresenti l’altra faccia della medaglia rispetto quella di Pasolini, sicuramente meno sofisticata, ma più autentica. Tuttavia è proprio qui che capiamo che Roma è bella proprio perché è fatta di estremi, Roma è sia il palcoscenico della dolce vita, che la casa dei “Ragazzi di Vita.” Fatto sta che senza Pasolini non potremmo mai capire quella Roma bella come un sogno ma cruda come la realtà, che tutt’ora è piena di fascino, da una parte per la sua natura selvaggia, dall’altra per la sua eterea nobiltà. Ma soprattutto vediamo quanto la presenza del Pigneto sia determinante e insostituibile, senza questo non avremmo mai avuto una tale testimonianza storica di gran lunga più efficace delle incolori parole che troviamo nei libri di storia. 

Ad essere colpito dal meraviglioso ritratto dell’altro volto di Roma realizzato da Pasolini è lo stesso celebre regista hollywoodiano Martin Scorsese che ha speso le seguenti parole parlando della suddetta opera:

«L’ho visto ( Accattone) per la prima volta al festival di New York, nel 1963 o ’64. Un’esperienza potente. Il primo film che vidi, fu Fronte del porto, del quale conoscevo i personaggi. Ma quello era cinema. Accattone, invece, vita vera: qui sono riuscito a identificarmi. Ci sono tomi su Pasolini, ma io non lo conoscevo. E il suo film fu uno choc. Un lampo. […] La santità dell’animo umano: Accattone muore tra due ladri e il magnaccia che lo benedice, si fa la croce al contrario. Tra l’altro, l’uso delle musiche di Bach, nel film, è stata una lezione, per me. L’ho applicata nel mio Casino. Per me, le persone più infime sono più vicine a Cristo, rispetto agli altri»

Allo stesso tempo è giusto ricordare, al di là del lato prettamente artistico, che la memoria dei luoghi raccontati dal poeta e regista non è mai svanita nelle menti delle persone che oggi popolano questo luogo: la stessa casa di Accattone, infatti, oggi sita a via Ettore Giovenale 101, è contrassegnata da una targa celebrativa. Tuttavia c’è un luogo nello specifico diventato memoria storica in maniera molto più iconica degli altri, ovvero il bar Necci, luogo in cui Accattone era solito trascorrere le giornate in compagnia dei suoi amici.

Voglio terminare questa analisi sul protagonismo del territorio del Pigneto nella pellicola di Pasolini, con una frase di quest’ultimo che ritrae le giornate in cui venne girato il film: 

“Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma.”

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