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La Cina e il potere della connettività

La metamorfosi cinese nell’approccio internazionale

di Chiara Aletti

Dal grande impero, al secolo dell’umiliazione sino alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC), la storia della Cina è caratterizzata da profondi cambiamenti, che l’hanno portata ad acquisire sempre più influenza nello scenario internazionale.

Nel 1970 la RPC conquistò il suo posto nelle Nazioni Unite e quindi il riconoscimento a spese di Taiwan. Ebbe così inizio l’epoca dell’apertura cinese al resto del mondo con una posizione chiara espressa da Deng Xiaoping durante il suo primo discorso all’ONU nel 1974: la Cina non sarebbe stata una superpotenza e mai avrebbe cercato di diventarlo. Alla fine di quegli stessi anni iniziò l’epoca delle cosiddette quattro modernizzazioni cinesi che portarono il Paese ad un graduale abbandono della sua immagine di potenza radicale rivoluzionaria: la Cina, infatti, avrebbe dovuto mantenere un profilo basso negli affari internazionali nascondendo le proprie capacità e attendendo il suo tempo. 

Nel giro di trent’anni, grazie ad una crescita enorme e costante, la RPC passò da Paese rurale e poco sviluppato a grande potenza economica, seconda solo agli Stati Uniti. 

Centrale è la grand strategy cinese originariamente basata sulla visione di un “peaceful rise” che, assumendo l’ambiente internazionale come fondamentalmente pacifico ed orientato allo sviluppo, implementava una politica indirizzata verso la pace, lo sviluppo e la sicurezza.

Nel 2004 il termine rise fu sostituito dal termine development; con la crescita del ruolo internazionale cinese uno dei principali obiettivi divenne quello di evitare che gli altri stati percepissero il Paese come minaccioso. 

Con l’ascesa di Xi Jinping come Segretario del Partito Comunista Cinese nel 2012 la strategia cinese subì un cambiamento di prospettiva: dall’approccio di basso profilo ad una diplomazia più proattiva e meno assertiva. Dal 2013 Xi iniziò una serie di eventi diplomatici proattivi regionali e in quelle sedi per la prima volta evidenziò la necessità della grand strategy cinese di abbracciare “un nuovo tipo di diplomazia fra grandi potenze con caratteristiche cinesi, e forgiare una nuovo tipo di relazioni fra grandi potenze con gli Stati Uniti” (Pu, 2017). L’obiettivo della politica di Xi è riassumibile nel suo “Chinese Dream” nel senso della realizzazione di un grande rinnovamento della nazione cinese. La novità non sta nello slogan de “rejuvenation of chinese nation”, che invece dimostra una certa continuità con la moderna politica tradizionale cinese, ma nell’impostazione della diplomazia cinese che da assertiva diviene proattiva. 

Nonostante il governo continui ad affermare di non voler assumere né lo status di egemone né di leader regionale, la Cina ha dato sempre più importanza alla sua leadership istituzionale. Ha infatti avuto un ruolo chiave negli accordi di Parigi sul cambiamento climatico e nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è il primo membro permanente del Consiglio di Sicurezza per numero di personale militare inviato nelle missioni di peacekeeping, è inoltre il terzo contribuente finanziario per il budget delle Nazioni Unite ed il secondo donatore per quello delle missioni dipeacekeeping. L’attuale governo cinese ha scelto di adottare una facilitative leadership nell’ordine internazionale sfruttando quindi la propria influenza per promuovere i beni pubblici nella società internazionale e per raggiungere uno sviluppo e un progresso comune in maniera cooperativa, attrattiva e win-win. Prove di questa nuova strategia sono le idee cinesi di una comunità di destino comune e di crescita inclusiva fondate su un alto livello di cooperazione per il raggiungimento di uno sviluppo equo: nel 2016 la Cina ha infatti promosso uno sviluppo inclusivo durante il summit del G20 ad Hangzhou.

Il facilitative leader sfrutta principalmente l’attrazione per influenzare e guidare, per la Cina questa è costituita dalla sua forza economica. 

Xi Jinping ha dato piena attuazione a questo nuovo tipo di leadership e al “Chinese dream” attraverso l’implementazione di iniziative regionali ed internazionali: la AIIB e la BRI sono considerate come le maggiori iniziative di politiche estera del nuovo Presidente.

La Belt and Road Initiative (BRI), proposta nel 2013 da Xi Jinping, ha l’obiettivo di costruire una nuova via della seta che crei un legame economico e una via marittima in cooperazione tra alcuni Paesi. L’iniziativa è considerata il più vasto collegamento economico tra le regioni asiatiche e pacifiche dell’est e le economie europee. La via della seta si focalizza sulla promozione di un coordinamento politico, di una connettività di infrastrutture e servizi, di uno commercio senza ostacoli, di un’integrazione finanziaria, di più stretti legami fra persone attraverso ampie consultazioni, contributi comuni e benefici condivisi con l’obiettivo finale di portare vantaggi a tutti. La Cina vuole rendere gli scambi e la mobilità di beni, servizi e persone più semplici, dinamici ed efficienti ponendo la connettività come priorità. 

La Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), anch’essa proposta dal Presidente Xi nel 2013, è una banca multilaterale per lo sviluppo focalizzata sulla costruzione di infrastrutture con l’obiettivo di potenziare la connettività fra le economie, offre un nuovo meccanismo per raggiungere obiettivi di sviluppo ed offre alla società internazionale una valida e competitiva alternativa al sistema preesistente. La sua creazione dimostra il desiderio di Pechino di negoziare, accordarsi ed essere legato alle regole delle istituzioni internazionali. 

L’ordine internazionale è una realtà dinamica e complessa entro la quale la Cina si inserisce con un ruolo estremamente incerto. Dalla crisi finanziaria globale del 2008 il Paese si è trasformato da membro periferico a giocatore chiave nella governance globale, con il conseguente ampliamento delle sue sfide sia interne sia internazionali, sia non tradizionali sia classiche.

Grandi sfide transnazionali e non tradizionali sono sicuramente quelle legate al terrorismo e all’inquinamento. Xi Jinping, dopo essere stato rieletto, ha definito la lotta all’inquinamento fra le priorità del suo nuovo mandato implementando ad esempio nuove politiche volte allo sviluppo delle Green Technologies. La piaga del terrorismo è affrontata dalla Cina sfruttando il suo potenziale economico. La BRI, attraversando lo Xinjian, regione a maggioranza musulmana, vuole affievolire le possibili tensioni che potrebbero sorgere in quel determinato territorio attraverso l’espansione dello sviluppo economico e della connettività.

La principale sfida per la RPC è rappresentata dalle sue identità e dalla percezione altrui riguardo al suo ruolo e alle sue intenzioni. La Cina ha molteplici identità in contrasto fra loro: lei stessa si considera allo stesso tempo un Paese in via di sviluppo, un Paese in ascesa ed una grande potenza. La sfida cinese, che rappresenta allo stesso tempo un vantaggio, è quella di gestire i suoi ruoli conflittuali derivanti dalle multiple identità in modi che avvantaggino i suoi interessi nazionali, ma che evitino il generarsi di pericolose mal interpretazioni e aspettative. La Cina deve bilanciare i concorrenti incentivi fra il risolvere e il rassicurare, fra status e responsabilità, fra il Nord e il Sud del mondo, fra il livello interno e quello internazionale. Si è dimostrata perfettamente capace di sfruttare le sue identità e i conseguenti ruoli definendosi in molte occasioni una potenza ancora in via di sviluppo per evitare gravose responsabilità derivanti da un eccessivo status internazionale. Le sfide maggiori emergono dalla sua identità di rising power ritenuta per definizione insitamente minacciosa. La Cina ha fronteggiato questa sfida sia tramite il potenziamento del settore della difesa, disincentivando così possibili attacchi, sia tramite la diplomazia classica. Il Paese ha infatti sempre definito se stesso e le sue intenzioni non egemoniche e la sua ascesa e il suo sviluppo pacifici, creando un nuovo discorso intorno a relazioni più pacifiche fra stati, per superare la tradizionale dialettica del gioco a somma zero. 

La Cina è un paese ricco dei contrasti: il suo PIL in soli vent’anni è passato dal 2 al 15% di quello mondiale. Sebbene sia la seconda economia al mondo, la strada per il suo sviluppo è ancora lunga se confrontata con gli standard occidentali.

I ruoli e le identità multilivello cinesi rendono la sua percezione a livello internazionale estremamente incerta e di conseguenza il suo tanto auspicato sviluppo pacifico in un contesto favorevole sempre più ostacolato ed ostacolabile. La sua percezione come minacciosa, soprattutto da parte degli Stati Uniti, è diretta conseguenza del dilemma della sicurezza, che porta gli stati a considerare offensivi atteggiamenti difensivi. Solo il corretto superamento di questa logica permetterà alla Cina di poter crescere, svilupparsi ed aumentare la sua influenza in un ordine a lei consono e favorevole per arrivare al raggiungimento di una comunità di sicurezza basata su legami fiduciari, alterando così le dinamiche del dilemma.

Il nuovo ordine voluto dalla Cina, che poi rappresenta l’obiettivo ultimo della sua grand strategy, è di tipo multipolare. Lo scopo della multipolarità non è quello di ribaltare completamente l’ordine attuale e le sue istituzioni. Xi Jinping si è infatti dimostrato in varie occasioni uno strenuo sostenitore della globalizzazione, frutto dell’ordine liberale attuale, dalla quale la Cina trae oggi un forte vantaggio. La multipolarità ha l’obiettivo di rendere l’ordine internazionale più equo, dove ogni potenza possa giocare un ruolo guida in diversi ambiti, multilaterale, basato sulla logica win-win, su di uno sviluppo sostenibile e su di una governance globale. La Cina dovrà sfruttare le proprie capacità per accrescere la sua influenza e assicurare i suoi interessi incoraggiando proattivamente una più ampia multipolarità e cooperazione sia regionale sia internazionale. 

La comunità di sicurezza e l’ordine multipolare potranno essere raggiunti dalla Cina attraverso la connettività, più precisamente attraverso il potere inteso come connettività. Esso consiste nella capacità di instaurare il maggior numero di relazioni utili e finalizzarle con competenza al raggiungimento dei propri obiettivi (Slaughter, 2009). Agendo come connective leader, la Cina ha implementato iniziative quali gli accordi BRICS e la BRI indirizzate al raggiungimento di un ordine con caratteristiche cinesi, multipolare e basato sulla comunità di sicurezza.

La connective leadership è «a power of social change that generates leader/follower relationships between/among nation-states through involving and empowering nation-states to change patterns of interaction between/among them, as well as the patterns of interaction between nation-states and the global society» (Andornino, 2017). Questo nuovo tipo di leadership riflette il tipo di comprensione del potere fluida, positiva e relazionale compatibile con la nuova posizione che la Cina cerca nell’ordine internazionale ibidem. 

Ecco allora che la Cina, se continuerà a sfruttare la sua forte capacità attrattiva economica e ad esercitare con sempre maggiore enfasi la sua connective leadership, sarà capace di esercitare influenza sempre maggiore in un ordine internazionale multipolare stabile e favorevole allo sviluppo delle potenze.

Chiara Aletti
Chiara Alettihttps://atenapress.online
Specialized on China | currently enrolled in the double degree Master program at the Universtiy of Turin (Turin, Italy) and Zhejiang University (Hangzhou, China).

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