venerdì, Aprile 26, 2024
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Il populismo della legge ‘spazza corrotti’

di Furio Capozzi – foto Nicola Giordano

-I tempi della giustizia penale in Italia, sono lunghissimi rispetto ai tempi di conclusione del processo in molti altri paesi occidentali, e rappresentano di per se stessi una condanna senza colpa accertata. Occorrono circa 1600 giorni dalle indagini preliminari fino alla sentenza definitiva in Cassazione, se per qualche motivo non viene riformata anche in quella sede. In totale quindi un imputato ha di fronte a se, mediamente, circa 4 anni e mezzo, per veder concludersi le indagini a proprio carico. Se poi ha la disgrazia di essere imputato nei tre distretti che rappresentano un vero e proprio buco nero della giustizia umana, a quel punto la situazione si fa ulteriormente piu’ grave: si tratta di Reggio Calabria, Napoli ed il record da podio di Roma con 2.241 giorni, che corrispondono ad oltre sei anni. In questo quadro e’ intervenuta la recente normativa che ha introdotto quello che viene chiamato ‘stop alla prescrizione, nella sentenza di primo grado’ . Fino alla entrata in vigore della nuova normativa sulla durata massima di un giusto processo, oltre il quale si immagina che lo stato non abbia piu’ interesse ad accertare la verita’ oppure, per il quale e’ sempre piu’ difficile accertare la verita’ con il dilungarsi molto dei tempi di accertamento del fatto, esisteva la prescrizione, variabile in funzione del reato ipoteticamente commesso, a partire da una durata minima di circa 7 anni. La nuova normativa sulla prescrizione che sostanzialmente interrompe i termini dopo la sentenza di primo grado, rendendo quindi potenzialmente infinito un processo, fortemente voluta dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dal Movimento 5 Stelle, e’ subito stata accolta dall’elettorato populista, come una rivoluzione ‘spazzacorrotti, una rivoluzione necessaria per evitare appunto che chi ha commesso un reato possa uscirne indenne grazie al fatto di avvalersi di una prescrizione, una via di uscita definitiva, oltre la quale e’ impossibile per lo stato indagare ulteriormente. Ma quanto e’ giusto che, in un quadro di partenza pessimo, nonostante lo spauracchio della precedente normativa sulla prescrizione, si introduca uno strumento normativo che lascia in mano al pubblico ministero le sorti dell’imputato, in un limbo che di per se stesso e’ una condanna? Quanto e’ importante che un cittadino subisca un processo penale in tempi ragionevoli, compatibili con la durata della vita dell’essere umano? E’ piu’ importante che qualcuno, colpevole la faccia franca oppure che centinaia di migliaia debbano patire la pena infinita di un processo senza termine, nelle mani di pubblici ministeri che non hanno degli obblighi di persecuzione temporali? Questi sono quesiti ai quali e’ opportuno rispondere tenendo conto che un processo penale puo’ capitare a qualisasi cittadino, e che spesso l’imputato e’ in galera in attesa di giudizio. Infatti si calcola che sono in attesa di giudizio nelle carceri italiane, anche qui record europeo, un quarto dei detenuti. In carceri che hanno un sovraffollamento tale per cui ci sono in media 120 detenuti ogni 100 posti. Queste sono le considerazioni che bisognava fare e che evidentemente non sono state fatte, prima della introduzione della riforma normativa che introduce lo’stop alla prescrizione’ . In sostanza sarebbe stato meglio introdurre dei meccanismi, degli strumenti, che realmente avrebbero potuto influire positivamente sulla giusta durata di un processo, anziche’ risolvere in maniera populistica, eliminando il giusto strumento della prescizione, una condanna, senza accertamento definitivo, nel contesto attuale della giustizia italiana.

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