giovedì, Aprile 25, 2024
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Zelig: un film profondamente pirandelliano

di Andrea Locuratolo

Dopo aver parlato di Belfast abbandoniamo per un attimo la produzione cinematografica contemporanea per parlare di uno dei film del passato più innovativi e geniali della produzione dell’intramontabile Woody Allen. A tal proposito vi chiedo scusa in anticipo, perché il mio amore per Woody è cieco e sconfinato, tanto che la possibilità che io possa essere obiettiva è pura utopia.

una immagine dal film con Woody Allen e Mia Farrow

Parliamo dunque di Zelig, pellicola in bianco e nero scritta e diretta da Woody Allen nel 1983. Il film viene classificato generalmente come commedia, e in effetti lo è, tuttavia il significato è tanto profondo da elevare il contenuto a dramma. Ovviamente non c’è da meravigliarsi: la commistione dei generi più disparati con quello della commedia è uno dei motivi per cui Woody Allen si deve considerare un genio assoluto, e a riprova di questo basta pensare ad una commedia come “Misterioso omicidio a Manhattan” (1993) di ispirazione palesemente hitchcockiana, del resto solo un genio poteva mischiare Hitchcock con la commedia. 

Potremmo definire dunque questo film come una commedia dal contenuto drammatico o, per parafrasare Pirandello, un film “umoristico.”

Una peculiarità stilistica di questa pellicola dell’’83 è sicuramente l’espediente del falso documentario, forse frutto dell’amore di Woody Allen per il capolavoro di Orson Welles, “Quarto Potere” (1941).

Estratto dal Film con le immagini dei personaggi

Dopo aver fornito informazioni preliminari circa il genere e lo stile, passiamo a descrivere brevemente i fatti narrati: il protagonista di questo falso documentario è Leonard Zelig, un uomo che cambia il proprio aspetto sulla base dei contesti sociali in cui si trova, diventando talvolta un cinese a Chinatown (vedere Woody Allen con gli occhi a mandorla non ha prezzo), un obeso in compagnia di altri uomini robusti, un rabbino in presenza di altri due rabbini e così via. Vediamo che questa acuta forma di trasformismo porta Zelig ad essere il principale oggetto degli studi di alcuni psichiatri, tra cui la dottoressa Eudora Fletcher, la quale si trova inizialmente in difficoltà, in quanto la patologia di Leonard lo porta a comportarsi da medico e a rendere quindi la terapia impossibile. Dunque la psichiatra inizia a trattare Zelig come fosse lui il dottore, di modo che egli, riconoscendo in Eudora un paziente, si comporti come lei, divenendo dunque lui stesso il paziente. Si scopre di conseguenza la sofferenza e i traumi passati di Zelig, il quale pur potendo interpretare un numero infinito di personaggi, in realtà non è nessuno. Dopo varie vicissitudini Eudora si innamora di Leonard e i due si sposano, sebbene in un primo momento Zelig scappi, turbato dalle voci infondate su di lui. In seguito, i due si ricongiungono e vivono felicemente il loro rapporto d’amore. 

Già da questo breve riassunto della trama possiamo capire quante similitudini vi siano tra il film in questione e il dramma dell’identità, tematica largamente presente nella produzione letteraria di Luigi Pirandello. Le innumerevoli trasformazioni di Zelig, infatti, non sono altro che infinite maschere dietro alle quali non si cela alcun volto. Come Leonard Zelig, Vitangelo Moscarda, protagonista del romanzo pirandelliano “Uno, Nessuno e Centomila” (1925), realizza che, pur essendo un “uno”, in realtà non è che un nessuno vuoto e che cambia il proprio essere in base al suo interlocutore, essendo quindi di conseguenza “centomila” personalità differenti, in quanto persona diversa per ciascun individuo con cui entra in contatto.

locandina del Film

Ovviamente Woody Allen non ha mai letto Pirandello, infatti le due opere risultano avere intenti differenti, seguendo anche stili completamente diversi: da una parte abbiamo un monologo esistenziale e drammatico, dall’altra un documentario comico, ma con risvolti umoristici. 

Eppure, è proprio l’umorismo uno degli ingredienti fondamentali che compongono sia l’opera alleniana che quella pirandelliana. Per umorismo faccio riferimento alla definizione che diede Pirandello nel suo saggio “L’umorismo” (1908). In tale definizione l’umorismo si distingue dal comico in quanto vi subentra una riflessione: l’umorismo non mi fa solo ridere, l’umorismo mi fa riflettere, dopo la riflessione noi non possiamo più ridere come prima, perché siamo troppo addentro al problema. E questo è quello che avviene anche nel caso del personaggio di Leonard Zelig; prima ci fa ridere, ad esempio quando si trasforma in rabbino, ma nel momento in cui realizziamo che questo personaggio è in grado di essere centomila persone diverse in quanto è “un nessuno”, non possiamo più ridere come prima: questo è l’umorismo, un sorriso amaro che nasce in seguito ad una riflessione. 

Spero di non avervi annoiato e di avervi fatto rivalutare almeno uno tra Pirandello e Woody, o di avervi fatto appassionare ancora di più. 

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Testata autorizzata dal Tribunale di Roma Aut. 115/2021

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