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Violenza sulle donne

repressione e prevenzione devono essere due facce della stessa medaglia

Di Fabio Valerini

Oggi, 25 novembre è la data che l’ONU ha previsto come giornata internazionale per l’eliminazione delle violenza sulle donne.

Violenza sulle donne che la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica ci ricorda non essere soltanto violenza fisica, ma anche psicologica ed economica e che può avere anche come spettatori e, quindi, già solo per questo vittime anche loro, i minori.

La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne che comprendetutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

Molte le voci oggi che sono intervenute sul tema della violenza sulla donne che, come ha sottolineato il presidente Sergio Mattarella, è “intollerabile” ed “è il fallimento della società”.

Per la Ministra della Giustizia Marta Cartabia “serve un approccio globale: questi fenomeni non si correggono solo a colpi di leggi, ma servono anche le leggi”.

Un fenomeno di cui conosciamo solo i casi che emergono: secondo l’ISTAT i tassi di denuncia riguardano il 12,2% delle violenza da partner e il 6% di quelle da non partner e sono ancora poche le donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza o in generale un servizio specializzato.

Questa mattina su SkyTG24 il prefetto Francesco Messina della Polizia Anticrimine ha messo in evidenza un aspetto importante: i numeri importanti della violenza sulla donna sono stabili: il che significa che non siamo più di fronte ad un’emergenza, ma a qualcosa che si ripete nel tempo.

Sebbene il termine emergenza possa apparire come un’espressione che mette in luce l’urgenza del provvedere, in realtà dire che il fenomeno è stabile dovrebbe essere decisamente più allarmante.

Ciò significa che serve non soltanto l’aspetto repressivo del fenomeno (assolutamente necessario e semmai da implementare) ma anche e soprattutto valorizzare anche l’aspetto preventivo (perché quello repressivo arriva dopo il fatto ).

Prevenire significa allora valorizzare tutti gli strumenti che l’ordinamento ha messo a disposizione (e che dovrà ancora mettere a disposizione) per intervenire anche prima che sia configurabile un reato come potrebbe essere l’ammonimento del Questore o anche il protocollo Scudo e, cioè, intercettando indici rivelatori.

Ma proprio sull’aspetto preventivo la questora Alessandra Simone dalle pagine dell’Huffingtonpost ha richiama l’attenzione su un aspetto altrettanto importante degli interventi in chiave preventiva: occorre anche lavorare con e sugli uomini 

Una strada che troviamo anche in un disegno di legge dell’on. Alessandra Maiorino volta a istituire centri di ascolto per uomini maltrattanti per dare una forma ad alcune esperienze già presenti ma a macchie di leopardo sul territorio nazionale.

Tuttavia c’è ancora molto da progettare e mettere in cantiere come dimostra l’attività del Governo su questi temi. 

Non possiamo, infatti, non ricordare come recentemente la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio ha mostrato che c’è molto da fare sul versante della preparazione nella gestione dei casi di violenza sulle donne e, in generale, sui casi di codice rosso.

Come dice Bo Guerreschi, presidente della bon’t worry – associazione internazionale che lotta contro le violenze di genere in particolare su donne e bambini – “non si deve morire per essere ascoltate” e soprattutto “occorre concretezza nell’applicazione della legge”.

Oltre alla informazione e alla formazione sugli strumenti di tutela a disposizione di chi ha bisogno di aiuto (necessaria affinché quegli strumenti non rimangano sulla carta correndo il rischio di creare una vittimizzazione secondaria), occorrerà pensare ad una formazione scolastica non episodica, ma strutturale che comprenda tutti gli aspetti, compresi quelli del linguaggio oltre che dei comportamenti, per poter confidare nel cambiamento di modelli comportamentali e di pregiudizi che ostacolano i percorsi di eliminazione della violenza sulla donna.

E in tutto questo la politica dovrà dare il suo contributo per essere – come ha giustamente osservato la Ministra Mara Carfagna sulle pagine di Repubblica – “un punto di riferimento non soltanto normativo, ma anche valoriale”.

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