venerdì, Aprile 26, 2024
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Inventarsi il lavoro

Ed eccoci qui.

In un momento di crisi economica e sociale dovuto prevalentemente all’avvento del Covid-19. Crisi economica, crisi sociale, crisi individuale, ma soprattutto una crisi che porta a rivedere modelli che in precedenza erano stati dati per scontati, come, primo fra tutti, il modello delle proprie attività lavorative. Molti infatti, ancorati ad un modello idoneo in anni precedenti, si sono trovati in difficoltà e sono stati costretti a modificare integralmente, e velocemente, il proprio modello di business principalmente in un’ottica digitale. Le avvisaglie comunque, al di la dell’emergenza Covid-19 lasciavano presagire una economia individuale basata su modelli fragili rispetto al nuovo che avanzava già prima e che, prepotentemente si è andato facendosi strada: Vendite on line massive stile AMAZON, digitalizzazione della didattica e della assistenza, automazione del lavoro, strapotere delle Big Tech etc. Insomma ce n’era già prima e quindi, arrivata la crisi, molti che non avevano rivisto i propri modelli in tempi non sospetti, non hanno potuto resistere alla ondata e, travolti, sono stati costretti a rivedere la filosofia della propria vita e chiudere o modificare in ritardo le proprie attività lavorative. Molti lo hanno fatto e lo faranno in maniera positiva, come fanno quelli che, sopravvissuti ad un tumore o ad una malattia che poteva essere mortale, hanno lasciato il loro posto di lavoro tradizionale, il loro modello lavorativo, che svolgevano senza interesse, per lasciare spazio alla loro passione, scelta che spesso si è rilevata vincente, oltre che dal punto di vista della soddisfazione personale, anche da un punto di vista economico.

D’altronde, mi è sempre rimasto impresso nella mente il fatto che la parola greca antica ergazomai ovvero lavorare fosse la derivazione del termine ergastolo. Insomma in termini più semplici, lavorare in un lavoro senza passione o interesse, se non quello di arrivare a fine mese, è una condanna, un ergastolo appunto, e se ne percepisce la filosofia di questa considerazione, solamente quando una crisi è in atto. Questo articolo, rivolto prevalentemente al giovane oppure a chiunque voglia vedere sé stesso da un punto di vista differente, tende proprio a considerare una frase che sono solito ripetere all’inizio di ogni corso delle mie lezioni: “pensare ad un cambiamento quando la crisi è in atto, è spesso troppo tardi” e “il lavoro va inventato, va creato, seguendo modelli personali e non tradizionali”. Da qui discende la questione filosofica personale di scelta del modello lavorativo che sostanzialmente si divide in tre categorie:

  1. il modello indipendente di creazione di una attività unica e libera di impresa,
  2. il modello semi-indipendente di acquisizione di una impresa già avviata oppure la affiliazione ad una impresa trainante (come gli affiliati airbnb, oppure le scelte di franchising)
  3. il modello del lavoro dipendente dove, sostanzialmente, si viene pagati per svolgere attività che sono scelte da altri, con la conseguenza di uno stipendio mensile, sostanzialmente fisso rispetto al risultato, se non leggermente variabile, e con la sensazione, falsa, della sicurezza economica futura derivante dalla certezza dello stipendio a prescindere dalla situazione.

Ecco, sono proprio questi i modelli di lavoro ma non è semplice per ogni singolo, sceglierne uno rispetto all’altro. Spesso è un problema di scelta culturale. Ci sono persone che non hanno problemi nello svolgimento di un lavoro dipendente, che ha come obiettivo la massimizzazione del profitto della azienda e non quello della massimizzazione della soddisfazione della realizzazione della vita del dipendente, e ci sono persone che preferiscono come opzione unica, quella della massimizzazione della propria soddisfazione personale attraverso una impresa autonoma che rappresenta una scelta di vita prima che una scelta lavorativa. Per quanto riguarda li modello semi-indipendente (n.2 sopra), si tratta di una via di mezzo tra i due modelli che precedono e seguono. Alla luce di questa classificazione di massima e delle scelte filosofiche che spingono in una direzione o in un altra, va detto che la falsa considerazione della sicurezza del posto fisso è pericolosa in quanto è comunque ancorata ad una attività di impresa. L’unica differenza è che al timone della impresa non c’è il lavoratore ma c’è una seconda persona, l’imprenditore. Da qui discende la decisione di chi invece vede da fuori questa situazione, sceglie per una attività di impresa e sostanzialmente si inventa il lavoro. In questo caso, diversamente da quello che comunemente si pensa, se l’imprenditore segue modelli di passione, si impegna molto e non si ferma mai davanti alle difficoltà, non sarà mai “licenziato”, cosa che invece succede spesso in ambito dipendente, specie nei momenti di crisi. Anche nelle imprese c’è una gerarchia nelle scelte di surplus lavorativo secondo il motto semplice che ho coniato ad hoc e che rende l’idea: “quando nella azienda c’è qualcuno di troppo, quello non è mai il padrone il quale non può licenziarsi da solo”. Ed allora cosa fare in questi momenti di crisi e comunque nei momenti in cui non ci sono crisi in atto ma si vuole rivedere completamente la propria vita lavorativa in una ottica diversa, libera, in anticipo rispetto ad un futuro probabile cambiamento sociale? Bisogna inventarsi il lavoro. Inventarsi il lavoro non significa andare a copiare cose già fatte da altri, ma significa prendere ispirazione dai grandi imprenditori liberi che hanno realizzato attività floride e particolari in tempi molto ragionevoli: Steve Jobs (APPLE), Elon Musk (TESLA etc.), Mark Zuckenberg (Facebook), Larry Page e Sergey Brin (Google) etc. Cosa hanno in comune questi imprenditori? Due cose sostanzialmente:

  1. Hanno avuto una visione nuova che nasceva da una passione,
  2. Hanno iniziato la loro attività senza pensare immediatamente ai guadagni futuri,
  3. Sono partiti buttandosi e pensando a come costruire le ali cadendo.

Sembrano modelli difficili da seguire ma ognuno di noi ha una passione, uno scopo interiore della vita che non può essere banalizzato da attività che si scelgono per tradizione e che non rispecchiano una passione individuale. Oltretutto, mentre una volta comunque, rinunciando alla auto-affermazione individuale, mediante il lavoro dipendente, si riusciva ad arrivare a fine mese con certezza, rimanendo seduti alla stessa scrivania per 40 anni dai 20 ai 60 ed andando poi in pensione, questo modello oggi non funziona più e chi non se ne accorge ne paga prima o poi le conseguenze. Mi ricordo lo scalpore che fece un famoso politico italiano quando disse “precario è bello”. La precarietà però essendo l’essenza della impresa, che di base è precaria, è realmente bella. Certo va aggiunto bella se riesce ad adeguarsi velocemente ai cambiamenti anticipandoli e diversificando le proprie attività.

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