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León Ferrari e la crudeltà gentile nella società occidentale

di Fabio Valerini

L’aimable cruauté è il titolo della mostra che il Centre Pompidou sta ospitando dal 20 aprile e fino al 29 agosto 2022  come  tappa – dopo Madrid e  Eindhoven –  di una retrospettiva sull’artista argentino León Ferrari e che ci ha consentito di vedere alcune delle opere che possiamo dire rappresentano il pensiero di un artista forse ancora troppo poco noto e sicuramente complesso nella sua produzione ispirata alla libertà contro la violenza, la tortura e lo sterminio.

Il titolo della mostra è la traduzione francese dell’opera Bondadosa crueldad che potremmo rendere con “crudeltà gentile” perché – questa la tesi di León Ferrari espressa nel suo libro di poesie e di college – la crudeltà è tanto intrinseca alla bontà da non poterla distinguere.

León Ferrari (Buenos Aires 1920-2013) è stato un artista concettuale argentino di origini italiane le cui opere hanno molto spesso espresso la sua forte critica nei confronti del governo argentino (uno dei suoi figli è nell’elenco dei desaparecidos), della Chiesa (per la sua ritenuta complicità con il regime argentino) e dell’Occidente imperialista.

La sintesi del messaggio e la forza comunicativa delle opere di León Ferrari – talvolta ritenute al limite della blasfemia – emergono in tutta la loro potenza nella Civilización occidental y cristiana (1965).

Si tratta dell’opera forse più celebre con un Cristo – a grandezza naturale – crocifisso su un jet da combattimento americano con il muso verso il basso per protestare contro la guerra in Vietnam.

Le mostre di León Ferrari sono state spesso oggetto di forti contestazioni sia per l’uso degli animali in alcune sue installazioni sia per la forte critica nei confronti del cristianesimo (o forse meglio del cattolicesimo).

In un caso a Buenos Aires nel 1991 la contestazione proveniva da un’associazione animalista che lamentava il ricorso ad una gallina per la sua opera La Justicia (1991) in mostra al Centro Cultural Recoleta.

L’installazione prevedeva, infatti, una gabbia, in cui era rinchiusa una gallina, sospesa su una bilancia – il simbolo universale della giustizia – collocata sotto e sulla quale cadevano gli escrementi della gallina.

L’idea della giustizia cristiana è uno dei temi più affrontati da León Ferrari: la Bibbia si apre e si chiude – osservava l’artista – con due “giudizi”. 

Il primo giudizio è quello che porta all’allontanamento di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre con il peccato originale. Il secondo giudizio è il “Giudizio universale” dopo l’Apocalisse.

Ecco allora che anche il Giudizio Universale – questa volta come riproduzione dell’opera di Michelangelo nella Cappella Sistina – sarà ricoperto nell’opera Juicio Final (1994) da escrementi di due canarini: la giustizia cristiana per León Ferrari è un’enciclopedia inesauribile di dolore e anche di forme di tortura.

È proprio il contrasto alla Chiesa (e non – come spiegherà lo stesso León Ferrari – a chi crede) che è ricorrente (come nelle sue Relecturas de la Biblia dove con la tecnica del collage parte da opere d’arte o articoli di giornale per innestare immagini belliche e sessuali) e è alla base anche di un’altra forte contestazione che fece scalpore nel mondo dell’arte.

Nel 2004 una sua retrospettiva al Palais de Glace di Recoleta a Buenos Aires era stata costretta a chiudere prima del tempo prima per ordine di un giudice dopo che l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, aveva censurato per blasfemia le opere dell’artista (in particolare Civilización occidental y cristiana) e poi per scelta una volta che l’ordine giudiziario venne revocato.

Chissà se oggi che l’allora arcivescovo di Buenos Aires è divenuto Papa, Roma potrà ospitare una retrospettiva proprio su León Ferrari e un dibattito sui temi che la sua opera ha posto.

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