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Il conflitto in Ucraina e le armi spuntate del processo

La difficoltà degli accertamenti dei fatti e dell’esecuzione nei conflitti internazionali in corso

di Fabio Valerini immagine :Ri Butov 

Può una misura cautelare emessa da un giudice internazionale fermare un conflitto? E’ questa una delle domande che ci si può porre leggendo la decisione con la quale il 16 marzo scorso la Corte penale internazionale dell’Aja nell’ambito del processo per genocidio tra l’Ucraina e la Federazione Russa ha emesso un’ordinanza cautelare con la quale ha ordinato a Putin di sospende immediatamente le operazioni militari avviate il 24 febbraio nel territorio dell’Ucraina e a entrambe le Parti di astenersi da qualsiasi azione che possa aggravare o estendere la controversia o renderla più difficile da risolvere.

Questo processo non riguarda il conflitto in Ucraina nella sua interezza, ma soltanto un aspetto collegato al tema dell’affermato genocidio a danno dei russi rispetto al quale può esserci una decisione perché la Convenzione sul genocidio, vede come Parti sia l’Ucraina che la Federazione Russa.

L’Ucraina aveva, infatti, sostenuto nel suo ricorso che la Federazione Russa aveva falsamente affermato l’esistenza di atti di genocidio negli oblast di Luhansk e Donetsk dell’Ucraina, sulla cui base aveva, poi, dichiarato e attuato una “operazione militare speciale” contro l’Ucraina con l’esplicito scopo di prevenire e punire presunti atti di genocidio.

Ebbene, questo processo internazionale davanti alla Corte penale dell’Aja coinvolge alcune importanti questioni che riguardano la risoluzione delle controversie internazionali sulle quali questa decisione provvisoria offre spunti di riflessione: l’accertamento dei fatti nell’ambito dei conflitti internazionali in corso,  l’uso della forza e l’efficacia delle misure della giurisdizione internazionale.

Quanto è difficile accertare i fatti

La prima questione riguarda un tema ricorrente e, cioè, la difficoltà, quando un conflitto sta per iniziare o è in atto –  di accertare i fatti che un Paese afferma essere esistenti per giustificare  politicamente o giuridicamente la legittimità del proprio agire.

Non è una questione nuova: è sufficiente ricordare il caso dell’Iraq con l’acquisizione della falsità di quelle prove che portarono a giustificare la necessità di un intervento militare preventivo in quel paese.

In quel caso la smoking gun mostrata al mondo e che era stata ammantata da solide fonti, per giustificare l’intervento non aveva, però, poi, trovato alcun riscontro da parte degli ispettori ONU.

Il tema dell’accertamento dei fatti è così importante che, ad esempio, la Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche di Parigi del 1993 prevede modalità di accertamento da seguire tramite consultazioni, cooperazione ed investigazioni dettagliate in un allegato dedicato proprio alle verifiche.

Il tema è stato all’ordine del giorno sia nel caso dell’uso del gas Novichok contro gli Skripal che avrebbe legittimato la reazione inglese nei confronti della Russia sia nel caso della Siria.

Nel caso del conflitto in Ucraina sembra che al momento – sempre con riferimento al tema del genocidio – non vi siano prove al riguardo.

La Corte scrive, infatti, che al momento non sono disponibili “elementi a sostegno dell’affermazione della Federazione russa” sull’esistenza di atti di genocidio. Nella sua opinione il giudice Robinson accenna a che vi sarebbero “numerose indagini condotte dal Comitato investigativo russo nel periodo dal 2014 al 2017 su presunti atti di genocidio commessi da funzionari ucraini contro la popolazione di lingua russa negli oblast di Donetsk e Luhansk, in violazione della Convenzione sul genocidio”.

Al momento, però, la Corte non ha approfondito il tema poiché per decidere sulle misure provvisorie non occorre accertare l’esistenza, o no, degli atti di genocidio da parte dell’Ucraina che sarà riservata alla decisione finale.

L’uso della forza per reagire a un genocidio

La seconda questione riguarda la legittimità del ricorso all’uso della forza per reagire al crimine di genocidio.

Qui la Corte offre un importante spunto di riflessione: una Parte della Convenzione che ha assunto l’obbligo di prevenire e punire il genocidio ritiene che sia in corso un  genocidio nel territorio di un’altra Parte contraente “può agire solo entro i limiti consentiti dal diritto internazionale” conformemente allo spirito e agli obiettivi della Carte delle Nazioni Unite

È dubbio, però – osserva la Corte – “che la Convenzione, alla luce del suo oggetto e del suo scopo, autorizzi l’uso unilaterale della forza da parte di una Parte contraente nel territorio di un altro Stato, allo scopo di prevenire o punire un presunto genocidio”.

Le armi del processo sono spuntate?

La terza questione riguarda l’efficacia delle misure provvisorie e la loro utilità nell’ambito della più generale gestione del conflitto in Ucraina.

Nel dispositivo del suo provvedimento la Corte penale, con tredici voti contro due, ha ordinato alla Federazione russa di sospendere immediatamente le operazioni militari da essa avviate il 24 febbraio 2022 nel territorio dell’Ucraina e di provvedere affinché tutte le unità armate militari o irregolari che possono essere dirette o sostenute da essa, nonché le organizzazioni e le persone che possono essere soggette al suo controllo o alla sua direzione, non adottino misure per promuovere le operazioni militari. All’unanimità ha ordinato ad entrambe le Parti di astenersi da qualsiasi azione che possa aggravare o estendere la controversia dinanzi alla Corte o renderla più difficile da risolvere.

Non si tratta, peraltro, del primo provvedimento cautelare sul conflitto in Ucraina. Già il 7 marzo scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’ambito di richieste di provvedimenti temporanei formulate nel quadro di denunce individuali relative alle operazioni militari russe sul territorio ucraino, aveva invitato la Federazione Russa ad astenersi da qualsiasi attacco militare contro civili e oggetti civili, inclusi luoghi di residenza, veicoli di emergenza e altro edifici civili che richiedono una protezione speciale, come scuole e ospedali, e da garantire immediatamente attiva la messa in sicurezza delle strutture, del personale e dei mezzi di soccorso sanitario territorio attaccato o assediato dai soldati russi.

Ebbene, per rispondere all’interrogativo potremmo prendere le mosse dalle parole del giudice della Corte penale internazionale Xue allegate alla decisione della Corte: l’attuale situazione in Ucraina richiede tutti gli sforzi che contribuiranno a una risoluzione pacifica della controversia tra l’Ucraina e la Federazione Russa, ma forse quelle misure indicate non potranno essere attuate in modo significativo ed efficace da una sola Parte in conflitto. 

Sono quindi ancora più necessari e urgenti i negoziati tra le Parti in conflitto per una rapida soluzione.

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