mercoledì, Aprile 24, 2024
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Arrivano i Perennials, i nuovi Highlander

Chi sono oggi gli Over50 in Italia? Pantofolai incalliti e sciatti o pantere grigie dalla ritrovata vitalità?

Si tratta di una variegata galassia che comprende sia gli uni che gli altri, ma qui ci riferiamo a quelli che hanno dai 50 anni in su e si sentono diversamente giovani, non intendono appendere gli attrezzi al chiodo e ancora dimostrano di avere qualche freccia al proprio arco.

Fino a un po’ di tempo fa oltrepassare il mezzo secolo significava entrare ufficialmente nel corridoio che nel giro di poco avrebbe condotto all’anzianità, stabilita formalmente dagli specialisti a 65 anni. Ma già in occasione del 63° Congresso Nazionale della SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria) che si è tenuto a Roma alla fine di novembre del 2018, i vari esperti – nel sottolineare l’allungamento medio della speranza di vita (in Italia 85 anni per le donne e 82 per gli uomini, con un aumento di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900) e le attuali migliori performance fisiche e mentali dell’uomo e della donna che vivono in paesi sviluppati economicamente – hanno proposto di aggiornare i parametri, portando a 75 anni l’età ideale per definire una persona come anziana. 

Difatti, in linea generale, un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa, e considerarlo “vecchio” è anacronistico; molti stanno fisicamente e psicologicamente bene e tollerano senza tragedie qualche piccolo acciacco e, pertanto, non si sentono anziani, aspetti emergenti anche da una ricerca dell’Università svedese di Goteborg, che ha dimostrato con specifici  test cognitivi e di intelligenza che i 70enni di oggi sono più “svegli” dei loro coetanei di 30 anni fa.

Comunque, al di là delle tavole rotonde teoriche dei geriatri, a certificare un significativo cambiamento della realtà è un fenomeno sociale spontaneo nato in sordina dapprima Oltreoceano, e ora diffusosi a macchia d’olio un po’ in tutto il mondo, Italia inclusa, tant’è che le agenzie di marketing e pubblicità e persino di modelli hanno iniziato a seguirlo con un certo interesse, se non altro perché, rispetto ai più giovani, gli Over50 hanno di media un maggiore potere di spesa.

Non più solo baby boomer (i nati tra il 1945 ed il 1965), Generazione X (tra il 1966 e il 1980), Millenial (tra il 1981 e il 2000), Generazione X (dal 2000 in poi) – catalogati con riferimento all’anno di nascita – ma ora sta avanzando un altro concetto, quello di “Perennial” (cioè duraturo, sempre in fiore), neologismo creato dalla statunitense creativa e imprenditrice digitale Gina Pell per definire i soggetti “Over” non più in base all’età anagrafica, bensì in relazione a un certo modo di essere, ai loro gusti e passioni.

Il passaggio da persone “di mezza età” a persone “dell’età di mezzo” è compiuto. trans-generazionali, refrattari a ogni stereotipo anagrafico, chi sono allora i Perennials?

Azzardando una sommaria e non esaustiva descrizione, quegli “Over50” che hanno un approccio positivo alla vita, sono ancora abbastanza in salute, impiegano una parte della loro disponibilità economica per coltivare i propri interessi laddove i figli sono ormai adulti e fuori casa, usano le nuove tecnologie e sono presenti sui social, tengono alla forma fisica e allo svago, sono socialmente attivi e impegnati in viaggi e attività culturali. 

Sono consapevoli di non avere più vent’anni, ma non si riconoscono nei canoni estetici e culturali delle generazioni che li hanno preceduti, hanno i capelli grigi e non li nascondono, anzi li ostentano fino a farne una moda trendy copiata anche dai più giovani, a cui hanno preziose esperienze da tramandare, se vorranno ascoltare.

E non parliamo solo di star note che, pur avanti con gli anni, difendono con le unghie e con i denti il territorio; non è infrequente, infatti, che perfetti sconosciuti “anta” sui social diventino persino “influencer” con molti followers, a cui dispensano con leggerezza e ironia perle di saggezza, forti delle loro esperienze di vita maturate, o che addirittura lancino tendenze di stile.

Non rientrano nella categoria, ovviamente, né gli immaturi senior che, rimpiangendo la giovinezza che non c’è più, si ammantano di infantile e ridicolo giovanilismo a tutti i costi, né quelli che scadono nell’eccesso opposto, ovvero che si lasciano andare all’“ageismo”, cioè alla pessimistica rassegnazione di fronte all’età che avanza pensando che oramai tutto è perduto.

Si tratta, invece, di coloro che si mantengono attivi mentalmente e fisicamente, hanno interessi, accettano i nuovi limiti senza farne un dramma e trovano via via nuovi equilibri.

Essere Perennial, in sostanza, è prima di tutto uno status mentale, a prescindere dalla data di nascita.

Rappresaglia di sangue

Nelle fasi concitate del rocambolesco e stranamente affannato sgombero delle truppe e dei collaboratori dell’esercito statunitense dall’Afganistan,come concordato tra Talebani ed il Presidente Trump, ha approfittato del caos una ala di Daesh della provincia di Korasan: l’Isis-K, che ha fatto esplodere una bomba Kamikaze uccidendo circa 200 persone, tra le quali 13 Marines. Immediatamente, il Presidente americano Biden, in una apparizione televisiva ha promesso, piangendo, che l’attentato sarebbe stato vendicato con le parole: “Non perdoneremo, non dimenticheremo, vi daremo la caccia e ve la faremo pagare”. Ed infatti, il giorno successivo, con un drone MQ-9 Reaper, partito da un paese terzo alla occupazione, e’ stata uccisa una persona, bersaglio predeterminato, senza che sia chiaro se sia coinvolto o meno nell’attacco all’aeroporto e senz che via sia stata alcuna dichiarazione da parte della Amministrazione statunitene che ha autorizzato l’esecuzione. Va precisato che vi sono state delle vittime come effetto collaterale della rappresaglia, costituite da sei bambini tra i quali, li ricordiamo per evitare che rimangano solamente numeri, Armin di 4 anni, Benyamin di 3 anni, Ayat e Sumaya di due anni, questi gli effetti collaterali dell’attacco vendicativo e frettolosamente messo in atto ed autorizzato dalla amministrazione Biden. Abbiamo visto una classica vendetta messa in atto, costi quel che costi, ed indirizzata verso personaggi che non e’ nemmeno certo che siano coinvolti nell’attentato in questione, avvenuta al di fuori del territorio americano e senza che vi fosse un imminente pericolo da sventare. Si tratta di una sanguinosa rappresaglia. Ma andiamo ad analizzare quelle che sono le pattuizioni consuetudinarie e pattizie che considerino legittima la rappresaglia anche ai sensi del diritto internazionale. La rappresaglia rappresenta una autotutela effettuata da uno Stato contro un altro stato in risposta ad un atto illecito commesso dal secondo contro il primo. Mentre invece la azione militare punitiva caratterizzata da inumanita’ e violenza indiscriminata, posta in essere da una forza occupante ai danni della popolazione civile della regione occupata, e’ un tipo di rappresaglia vietata dal diritto internazionale. Ebbene, in questa vicenda vi sono dei punti fermi che devono essere sottolineati per fare chiarezza: l’attentato all’aeroporto non e’ stato compiuto da uno stato, in quanto e’ evidente che i Talebani, potenza in carica, ne sono stati a loro volta vittime. Un secondo punto fermo e’ che la azione e’ stata rivolta come vendetta, verso la popolazione civile, senza un processo e senza che possa essere equivoco il fatto che non vi fosse una urgenza dettata da un pericolo imminente. Infatti e’ stata una vendetta, come appunto preannunciato da Biden. Una vendetta verso chi non e’ stato chiaro, ma sicuramente vi e’ stato un effetto positivo nei confronti dell’elettorato Americano che spesso dimostra di avere un atteggiamento nei confronti delle questioni di politica internazionale che potremmo definire giustizialista e violento. Andiamo ora ad esaminare quando una rappresaglia viene considerata accettabile nel odierno diritto bellico:

1-deve avere luogo tra stati belligeranti

2-e’ necessario che l’atto originario sia considerato illecito

3-prima che la rappresaglia sia effettuata, e’ necessario che lo Stato che la esegue abbia accertato chi siano i responsabili del fatto originario.

4-che la rappresaglia sia proporzionata al fatto che l’ha originata.

Inoltre altri protocolli (adottati a Ginevra l’8 Giugno del 1977 ed aperti alla firma da parte di diversi Stati il 12 Dicembre 1977) hanno nuovamente deciso il divieto assoluto di ogni forma di repressione collettiva contro la popolazione civile, questi protocolli, ratificati dallo stato italiano l’11Dicembre 1985 n. 762, sembrerebbero non essere stati rispettati dal governo statunitense in diverse azioni, specie in campi di occupazione quali appunto l’Afganistan. L’atteggiamento bellico degli Stati Uniti e’ tenuto nascosto dalla Amministrazione statunitense, al punto che, le indiscrezioni trapelate tramite l’analista militare della aeronautica statunitense, Daniel Hale, lo hanno portato recentemente ad una condanna a 45 mesi di reclusione. E’ stato condannato per spionaggio per avere consentito la diffusione di 17 documenti classificati i quali, se provati, porterebbero alla incriminazione delle forze armate statunitensi per crimini di guerra. Per chi volesse approfondire la questione, e’ disponibile il film-documentario National Bird diretto da Sonia Kennebeck, nel quale appunto appare in alcune riprese lo stesso Daniel Hale, attualmente detenuto. La questione delle rappresaglie, per noi italiani e’ un aspetto dei conflitti che ci tocca da vicino e rappresenta un’ombra nella memoria collettiva per la strage di Sant’Anna di Stazzema o per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, appunto azioni disumane che ci costringono oggi ad approfondire le motivazioni e la modalita’ della esecuzione delle attuali rappresaglie, per evitare che la storia ripeta le disumanita’ passate.

articolo di Furio Capozzi

foto di Mohamed Hassan

UR24C: scheda audio per studio, Dj e Streaming

LA UR24C

Abbiamo avuto modo di provare la nuova scheda audio della Steinberg: la UR24C, una scheda audio con caratteristiche sorprendenti ad un prezzo veramente contenuto. Presenta delle novita’ particolari che vanno incontro alla moderna produzione audio, al passo con i tempi. Partiamo dalla qualita’ di conversione: La qualita’ di conversione Analogico/Digitale a 32 bit di cui dispone la ur24c e’ una caratteristica impensabile fino a pochi anni fa anche per schede audio di fascia di prezzo molto piu’ alta. Questa caratteristica va abbinata alla sorprendente frequenza massima di campionamento a 192 khz. Queste due caratteristiche, unite alla qualita’ dei preamplificatori in classe A D-pre, molto trasparenti e fedeli, portano questa scheda audio a competere anche con schede audio di prezzo notevolmente piu’ alto. Consideriamo che attualmente si trova in vendita ad uno street price di 200 Euro. Queste caratteristiche, unite ai tradizionali DSP integrati (effetti interni alla scheda audio, che consentono di annullare la latenza in fase di monitoring, durante una registrazione) gia’ basterebbero per posizionare questa scheda nella parte piu’ interessante del mercato, ma la Steinberg ha aggiunto altre caratteristiche che la rendono unica: La prima e’ quella di potersi trasformare in un monitor controller per Dj, potendo posizionare il cursore del volume in modalita’ Dj anziche’ Daw si abilita un ascolto diversificato nelle cuffie, che puo’ essere, a scelta in diverse modalita’, ad esempio il master a destra e la cue (preascolto del brano non in main), a sinistra, oppure uno stereo mix che comprende cue e main. Questa modalita’ puo’ essere utilizzata con qualsiasi software da dj, noi lo abbiamo provato con virtual Dj e funziona bene e semplicemente. Una seconda caratteristica che rende unico il dispositivo e’ quella del loopback integrato, utile durante sessioni di streaming in videoconferenza oppure radiofoniche. In sostanza consente al software di streaming, ad esempio Zoom, Google meet, skype etc, di ‘ascoltare’ i suoni provenienti dallo stesso computer senza dover fare ricorso a software interni come loopback oppure voicemeeter, a volte complicati e pesanti per sistemi semplici come un pc anche per uso professionale, saggiungiamo la affidabilita’ di un sistema hardware rispetto ad un sistema software, specie se gratuito come voicemeeter. La scheda audio in questione ha due ingressi combo, quattro uscite selezionabili, ingresso e uscita Midi, Phantom +48v, collegamento con il computer con una usb C. Possibilita’ di collegamento con un Ipad per (in questo caso va considerato che la scheda andra’ alimentata a parte, anche sul campo con un semplice alimentatore power bank da 5v dc. In abbinamento al dispositivo vengono consegnati il software Cubase Le, software di produzione audio, perfettamente funzionante ed in versione permanente, figlio del fratello maggiore Cubase 11 Pro, che a volte si puo’ acquistare con un upgrade scontato di qualche offerta speciale periodica, ed il software utilizzabile con Ipad o Android (tablet) Cubasis Le. insomma una ottima scheda audio che si rivolge ad un pubblico giovane con esigenze contemporanee nel settore della produzione audio, dello streaming e del Djing. Esistono delle alternative, anche in casa Yamaha (casa madre di Steinberg), ma dispositivi che facciano tutto insieme con queste caratteristiche qualitative non ne abbiamo trovati. Ad esempio per la produzione in streaming esiste la scheda audio/mixer Ag06, che puo’ fare da scheda audio ed ha il loopback integrato, ma la sua qualita’ di conversione, per quanto buona, arriva a 24 bit e non dispone di funzioni di ascolto cue per Dj. Qualche dubbio potrebbe sorgere per un uso professionale nei tre settori di utilizzo a cui si rivolge la Steinberg con questo prodotto (Dj, Daw, Steaming), ma acquistare tre dispositivi separati che possano fare quello che fa questa scheda audio, trasportabile in uno zainetto, costerebbe molto di piu’ e con un ingombro sicuramente maggiore. Un prodotto che consigliamo vivamente a chiunque si vuole approcciare al mondo della produzione audio oppure a chi ci lavora ma non vuole avere dispositivi non trasportabili e complicati. Se proprio vogliamo dare un suggerimento alla Steinberg, avremmo preferito la funzione loopback selezionabile con uno switch fisico dalla scheda piuttosto che dal software di controllo della stessa, come avviene in casa sulla scheda Ag06 oppure Ag03.

Lo Stato Narcos dei Talebani

L’Afganistan, uno Stato di 38 milioni di abitanti, incastonato, senza sbocco al mare, tra il Pakistan, l’Iran, il Turkmenistan, L’Uzbekistan, il Tagikistan e la Cina, sta vivendo in questo periodo storico un nuovo ed importante cambiamento socio-culturale dovuto all’alternanza al potere con il Presidente Ashraf Ghani fuggito dal paese negli Emirati arabi Uniti, senza organizzare una controffensiva alla avanzata dei Talebani, sembrerebbe portando con se 169 milioni prelevati dalle casse dello stato. Questa ultima notizia e’ stata divulgata dall’ambasciatore afgano in Tagikistan Mohammad Zahir Aghbar che ha anche definito il Presidente fuggitivo un ‘Traditore della Patria’.

Per contestualizzare meglio la situazione bisogna tornare indietro di qualche anno e riassumere i punti dello sviluppo politico di uno stato che e’ crocevia di traffici internazionali per la sua posizione unica e che fu teatro delle primissime attivita’ della storia, che e’ stato invaso, in diverse epoche da diverse potenze tra le quali: Indoariani, Medi, Persiani, Greci, Maurya, Impero Kusana, Unni Bianchi, Sasanidi, Arabi, Mongoli, Turchi, Britannici, Sovietici e piu’ recentemente (dal 2001) dagli Stati Uniti. In nessuna di queste occupazioni pero’ gli stati occupanti sono riusciti ad avere un controllo completo sull’area. Questo per diverse ragioni, prima fra tutte la cultura variegata all’interno dello stato, in perenne conflitto tra culture e nazioni all’interno della nazione, in secondo luogo la pressione e gli aiuti esterni di altri stati che hanno sempre alimentato una controffensiva alle occupazioni esterne, questo per motivo di destabilizzare un punto strategico sia politicamente che militarmente, per evitare che sia un avamposto in un area delicata. Ultimamente abbiamo visto due poteri contrapporsi: Quello dei Talebani dal 1996 al 2001 interrotto dalla occupazione Statunitense sulla scia dell’enfasi vendicativa e di prevenzione dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York, appunto nel 2001 con il governo imposto dagli Stati Uniti e terminato miseramente nei giorni scorsi. Innanzitutto andiamo ad analizzare le motivazioni che spingono le forze entranti a governare e quelle uscenti ad andarsene e ad analizzare le motivazioni in base alle quali un esercito di 400.000 soldati armati ed addestrati non ha reagito di fronte a pochi Talebani (60.000) male equipaggiati. Le ragioni che hanno spinto gli stati uniti ad abbandonare l’area sono spinti da un sempre piu’ basso consenso politico da parte degli elettori americani che non capiscono piu’ quale sia l’interesse a perdere migliaia di vite umane (oltre 2.000 al momento) e miliardi di dollari, per una causa che era partita dall’intento di evitare che si ripetessero fatti del 2001 (oramai lontano venti anni) e che era spinta dalla voglia di vendetta (compiuta con la condanna del paese che aveva ospitato i campi di addestramento degli attentatori a venti anni di guerra). Dall’altra parte il popolo Afgano, i soldati addestrati, i partigiani…dove si trovavano? Che hanno fatto per evitare l’occupazione? Nulla! La motivazione e’ varia, si passa dalla sempre piu’ crescente corruzione all’interno dello Stato Afgano, corruzione che non si e’ avuto voglia o interesse a combattere, i militari mal pagati (dai 160 ai 240 dollari al mese in base al rischio crescente nei territori di impiego) ed infine, probabilmente, la motivazione principale della mancanza totale di controffensiva, la mancata condivisione delle motivazioni democratiche che sono alla bae della costituzione del nuovo Stato Afgano dal 2001, motivazioni a quanto pare imposte dagli Stati Uniti e non condivise dal popolo, il quale, appena ha potuto, ha cambiato fisicamente casacca in poche ore, da quella di militare Afgano all’abito tradizionale Talebano. Questo a rafforzare l’idea sulla base della quale la democrazia non e’ esportabile ma necessita di crescere in un ambiente in cui e’ coltivata la cultura dello stato di diritto e del valore del rispetto dei diritti umani.

Dal lato delle ‘forze di occupazione’, i Talebani, iniziamo a dire che sono nati come ‘partigiani’ per difendere l’Afganistan nella guerriglia che fu successiva al crollo del protettorato Sovietico a seguito del crollo dello stesso. Nascono da una guerra civile sanguinosa che li ha visti prevalere su tagiki e uzbeki. Sono una organizzazione locale di tipo militare e politico che e’ ostile ad adattare la vita del popolo della loro patria ai costumi piu’ moderni delle societa’ evolute del mondo. Questa politica radicale si e’ trasformata in una dura e sanguinaria opposizione nei confronti di ogni oppositore, arrivando a considerare oppositori anche gli infedeli che vivono in altri paesi del mondo e che non si adeguano ai costumi islamici radicali, primo fra tutti gli Stati Uniti.

Ma e’ veramente questa la motivazione che spinge i Talebani a combattere, a morire, a rischiare? Oppure la vera spinta e’ dettata da motivazioni economiche derivanti dallo sfruttamento delle ricchezze delle risorse dell’area, primo fra tutti l’ORO NERO ovvero l’oppio, il papavero da oppio da cui si ricava la materia prima per produrre l’eroina?

Questa considerazione emerge da diversi ambienti intellettuali e ne e’ la conferma il fatto che l’esercito Talebano, tramite la gestione dei campi di coltivazione dell’oppio, abbia avuto accesso a 160 miliardi di euro. Tanto per fare un paragone, tutto l’esercito Afgano e’ stato costituito dagli Stati uniti con una somma di circa 80 miliardi.

L’eroina imperversa in Afganistan dove si stimano in 2,5 milioni gli eroinomani, ma e’ commercializzata in Afganistan il 90./. della eroina mondiale (il residuo 10./. deriva da coltivazioni locali in Messico). L’eroina Afgana rifornisce le mafie mondiali, ma anche le case farmaceutiche che producono morfina e anestetici. Insomma un mercato enorme che ha spinto i Talebani a prendere potere con il consenso dei militari che si sono ‘venduti’ facilmente con la prospettiva di aumentare i loro stipendi entrando a far parte di quello che Saviano ha definito il primo Stato Narcos ufficializzato nel mondo. Certamente c’e’ la violenza, la fissazione di imporre una ideologia religiosa radicale, ma alla base di tutto c’e’ la volonta’ di portare avanti una multinazionale del commercio di stupefacenti, senza uno Stato contrario, ovvero diventando la stessa impresa lo Stato.

GREEN PASS

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Ci sono almeno due rischi che oggi ogni governo deve fronteggiare: quello della pandemia e quello della crisi economica. Il punto di equilibrio sembra essere stato trovato, almeno in Europa, nel green pass.

Siamo alla vigilia della partenza del green pass: accesso ai servizi e ai trasporti solo se vaccinati o con tampone negativo entro le 48 ore o guariti. Quali servizi a quali trasporti e con quali modalità sarà senz’altro oggetto di più interventi rispetto alla versione originaria.

Il punto di equilibrio però per definizione può sacrificare in parte il raggiungimento dell’eliminazione di uno dei rischi e può mettere in discussione l’esercizio dei diritti e libertà fondamentali come quello alla salute, alla circolazione, all’iniziativa economica.

Inevitabile quindi che anche il green pass sia diventato oggetto di dibattito anche acceso. 

Ma in quel dibattito sembra esserci un paradosso come in quello che aveva coinvolto il lockdown e l’obbligo vaccinale.

Chi si oppone invoca la Costituzione: l’argomento è forte e tocca le corde di chi ascolta: la Costituzione tutela la libertà e questa libertà non può essere incisa.

Sembra, effettivamente, che la Costituzione vada in aiuto solo di chi si oppone: oggi di chi non vuole il green pass, ieri di chi non voleva il vaccino e l’altro ieri di chi non voleva il lockdown.

Ebbene, questo ragionamento dimentica una caratteristica fondamentale della nostra Carta fondamentale: non esistono diritti tiranni (Consulta), il diritto è mite (G. Zagrebelsky). 

Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione – sono parole della Corte Costituzionale quando si pronunciò sul caso Ilva di Taranto (all’epoca il tema era il bilanciamento tra salute e iniziativa economica) – si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. 

Oggi iniziamo ad avere qualche riscontro delle alte corti sul vaccino e sul green pass: queste pronunce dovranno avere un ruolo nel dibattito quando si invocano le norme costituzionali e internazionali.

Per il vaccino nessun dubbio che i principi costituzionali consentono, a certe condizioni, l’obbligatorietà (che per ora è prevista per le professioni sanitarie, domani forse per il personale docente). 

Anche le norme internazionali lo consentono come conferma una sentenza recentissima della Corte europea dei diritti dell’uomo: è vero che l’obbligo di vaccinazione è una misura sulla vita privata, ma è finalizzata alla protezione della salute individuale e pubblica volendo perseguire l’immunità di gregge.

In quel caso si trattava dell’obbligo vaccinale infantile previsto dalla Repubblica Ceca che subordinava l’accesso alla scuola materna alla previa vaccinazione salvo che non fosse possibile per ragioni di salute.

Per il green pass è di oggi la pubblicazione di una sentenza da parte del Conseil Constitutionnel francese che ha sostanzialmente ritenuto che la disciplina francese sul pass sanitario non contrasti con la costituzione.

Certo qualche modifica andrà fatta perché, tra gli altri, due passaggi della legge sono apparsi incostituzionali: per il principio di uguaglianza non si può sanzionare soltanto una categoria di lavoratori (o tutti o nessuno non essendo certamente la natura di contratto a tempo determinato o indeterminato che incide sulla trasmissione del virus) e non si può obbligare al confinamento qualcuno solo in forza del risultato positivo ad un test (serve qualcosa in più come, per esempio, un provvedimento specifico che potrà, all’occorrenza, essere impugnato).

Tutto questo conferma un aspetto: non ci sono principi costituzionali che vietino di fare ricorso al lockdown, di prevedere l’obbligo vaccinale o di predisporre un green pass.

I principi costituzionali dicono soltanto che occorrono dei presupposti per poterli prevedere e che occorre bilanciare a seconda dell’evoluzione epidemiologica e, soprattutto, delle conoscenze e dei mezzi a disposizione.

Certamente, un conto era quando non si conosceva nulla, non c’erano vaccini e le mascherine erano scarse. 

Un altro conto è oggi dove abbiamo più dati e dove esiste la possibilità del vaccino: un’opera di Maupal apparsa nelle vie di Borgo Pio a Roma qualche mese fa mostra come il vaccino contro il Covid sia (si spera) il nuovo santo cui affidare le speranze per la ripresa delle attività sociali, culturali ed economiche che la pandemia ha congelato o fortemente ridimensionato.

Ed allora, fermi i principi e gli strumenti a disposizione che sembrano possibili perché non contrastano con principi costituzionali ostativi, il vero problema del green pass è modulare le modalità di attuazione.

Ma la modulazione, una volta rispettati i principi come ci ha ricordato oggi il Conseil Constitutionnel, in realtà coinvolge decisioni politiche nel senso più profondo del termine e, cioè, scelte che i rappresentati devono fare con la naturale responsabilità politica che segue.

Speriamo quindi che il dibattito possa indirizzarsi sulle migliori modalità attuative dello strumento che oggi appare quello che può soddisfare entrambe le esigenze: salute e iniziativa economica.

I numeri della poverta’ e le contraddizioni della ripresa

Povertà e pandemia, un connubio drammatico. Nel 2020, a causa del Covid 19, la povertà, che già in Italia raggiungeva percentuali vertiginose, è cresciuta ulteriormente. I dati pubblicati dall’Istat all’inizio di quest’anno, parlano chiaramente: oltre 5,6 milioni di persone rientrano attualmente in una condizione di povertà assoluta, cioè il 9,4% dei residenti. 

Assistiamo ad una crescita del fenomen, rispetto al  2019, qundo la povertà assoluta era al 7,7% del totale. Inoltre, 2,6 milioni di famiglie si  trovano in uno stato di povertà relativa, il 10,1% rispetto all’11,4% del 2019. Quindi la povertà relativa è diminuita, ma a scapito di quella assoluta che continua a crescere.

Secondo un’indagine della Caritas, nel 2020, a causa del Covid 19, la metà dei nuovi poveri Italiana si è rivolta alle strutture territoriali dell’organizzazione cattolica: un aumento del 48% rispetto al 31% dell’anno precedente. Aumentano le richieste di aiuto degli italiani “delle donne con figli minori e di giovani toccati dal precariato, con contratti a tempo determinato” spiega Federica De Laiso, dell’Ufficio studi della Caritas Italiana. Questo è il quadro che emerge dalle richieste di aiuto che ha spinto numerosi “nuovi poveri” a richiedere assistenza a causa delle conseguenze economiche della pandemia. “Ci hanno chiesto aiuto – continua De Lauso – anche molte persone in cassa integrazione”, laddove si presentavano già situazioni di reddito basso o monoreddito, così come tanti lavoratori autonomi caduti in condizioni di difficoltà. “Tutte persone che si sono aggiunte  a quelle che già conoscevamo, come casalinghe e pensionati”. 

“Ci troviamo di fronte ad un numero indefinito di poveri”, spiega Mons. Benoni Ambarus, direttore della Caritas Romana e vescovo delegato per la Carità. Un numero sempre più alto di “scartat” e di “invisibili”, che, ad esempio a Roma, è difficile contare:“facciamo stime, e dietro ogni numero si nascondono i drammi silenziosi della nostra città”.

Analizzando i dati sulla povertà di oggi, è importante anche cercare le radici del fenomeno. Questo si può fare tornando indietro negli anni e facendo riferimento alle crisi economiche più recenti, spiega Maurizio Fieasco, sociologo. La crisi attuale che “ha portato ad una caduta  del Pil di 9,8 punti”, ha le sue origini in una economia già segnata e che non si era ancora ripresa  “dalle precedenti  crisi del 2008 e 2009 e del  2012 e 2013”. Va anche precisato che a livello istituzionale il fenomeno della povertà non è stato mai valutato e analizzato in modo approfondito.”Queste crisi – continua Fiasco – hanno creato il presupposto per l’estensione di una dimensione e di un rischio di massa, che oggi trova dei numeri simili a quelli dell’nell’immediato dopoguerra”.

Già alla vigilia del lock-down si contavano larghe fasce di popolazione che erano al confine con la linea della povertà.”Tra il 2006 e il 2016 le famiglie in condizione tecnica di fallimento erano aumentate da 1 milione 600 mila a 2 milioni e 200 mila. Altri 5 milioni di famiglie si trovavano in condizioni di equilibrio, ma con riserve fragili”. Secondo uno studio della Banca d’Italia, pubblicato a fine marzo, per più di una famiglia su 20 il reddito si era ridotto, in quegli anni, dal 51% al 100%, per una famiglia su dieci dal 25% al 50%. Il 66% degli italiani ha visto invariato (o aumentato) il proprio reddito; mentre per il restante 34%, cioè 1/3 del paese, questo è diminuito di percentuali più o meno alte, mentre per il 5% si è ridotto di oltre la metà.

Ritornando all’ultimo anno e mezzo, la pandemia ha causato conseguenze devastanti sul sistema economico complessivo, e, di conseguenza, ancora di più per per quelle fasce di popolazione che già prima del marzo 2019 si tovava in una condizione  di squilibrio. Dalla precarietà, dall’incertezza dalla povertà relativa, il salto nel baratro della povertà assulta è stato breve.

Oltre alle recenti politiche governative rivolte al superamento dell’emergenza, e alla ripresa, come il Recovery Found e il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, nel panorama nazionale non si intravedono ulteriori interventi rivolti a prevenire la povertà e a sostenere la parte di popolazione più esposta.

Il Reddito di cittadinanza, approvato nel marzo 2019, si è rivelato uno strumento sicuramente importante, ma nello stesso tempo insufficiente. In molti casi è stato una soluzione, (sbbene provvisoria), che ha rappresentato un argine alla povertà, sia nel periodo precedente , che durante la pandemia. 

Da uno studio della Caritas risulta che nel 2020 la crescita dei nuclei protetti da questa misura è stato del 43%, con circa 8 miliardi di euro destinati a questo intervento. Il limite emerge però dal fatto che non vi è stata una coincidenza tra la fascia di povertà e quella di quanti hanno usufruito del Reddito di cittadinanza: cioè solo il 44% dei poveri; mentre il restante 56% non ne usufruisce. Contraddizione che dimostra come siano urgenti poitiche e interventi che partano dalla prospettiva degli ultimi e degli “invisibili” di questa società.

articolo di Giuseppe Rotunno

foto in evidenza di Billy Cedeno

Green pass per scimmie

“Ciao Bro'”, Due ragazzi si incontrano e si salutano baciandosi dopo aver scambiato un saluto strano con la mano. Sono seduto ad un bar di uno stabilimento al mare, uno dei tanti, da dove osservo la moltitudine di persone davanti a me. Un gruppo di ragazzi gioca a carte ed esulta alla primiera abbracciandosi e prendendosi in giro, vogliono toccarsi.Un accolita d’impiegati in pensione si radunano all’ombra parlando dei tempi andati e sono vicini, molto vicini, vogliono sentirsi vicini.Un ragazzo ed una ragazza più in là si sono appartati dietro gli scogli per fumare una canna, lei rolla la cartina con la lingua con quel gesto poco igienico ma tanto sensuale che costituisce la base per una buona canna. Un signore di mezza età ha una ragazza accanto a se, la bacia orgoglioso dimenticandosi per un attimo dell’ arcigna moglie che l’aspetta a casa. Il barista felice del pienone di clienti dice “ragazzi mi raccomando se arrivano i vigili mettete la mascherina”, e lo dice sorridente, con quel sorriso di chi ne ha passate tante ed ora vuole godersi il momento. Mentre osservo queste scene tranquillo bevendo una birra, mi viene in mente il tg di ieri: “Si discute dell obbligo del green pass per gli insegnanti ” e poi ” Il green pass obbligatorio nei ristoranti al chiuso”. Il tg parla di un altro paese, fatto di robot che obbediscono ed eseguono con disciplina. La classe politica si rivolge a cittadini modello che mettono la cravatta anche in spiaggia, che indossano la mascherina anche nel talamo, nuziale o meno che sia. Continuano a fare leggi sul green pass per persone che non dovrebbero salutarsi con un bacio, per italiani non tifosi di calcio, che, quando l’italia vince gli europei dovrebbero esultare con “accipicchia siamo veramente molto bravini”. La natura con il Covid ci ha riportato alla realtà del nostro essere animali fragili. Siamo scimmie nella giungla appese alla liana del destino. Siamo scimmie su un ramo, solo in attesa spasmodica che un altra scimmia ci spulci.

articolo di Ermannomaria Capozzi

foto di Stefan Keller

Le Olimpiadi dimenticate

“Perché ci sono le Olimpiadi?” La frase che oggi ha detto mia moglie, ma che penso sia risuonata in molte case. Oggi abbiamo assistito alla cerimonia di inizio delle Olimpiadi 2020. Il fatto di chiamarle 2020 già crea confusione, ci si perde nei ricordi di un infausto anno che ha cambiato il mondo. Queste Olimpiadi trovano un mondo distratto, preso dalla pandemia, da mille altri pensieri. Eppure sfilano tutti i paesi come tutte le altre edizioni, dall’isoletta sperduta del pacifico che si fa conoscere al mondo solo perché partecipano alle Olimpiadi, alla mega delegazione americana sfarzosa e guascona come sempre.

Ma è una cerimonia strana e triste; gli spalti dello stadio quasi vuoti, le mascherine sul volto degli atleti rendono assurda l’atmosfera, irreale. 

Penso a come il mondo sia stato preso da altri pensieri nell’ultimo anno e fantastico di quali potrebbero essere le specialità di questi atleti mascherati:

– apnea in mascherina, vince chi riesce a resistere per più tempo con una ffp2

– Corsa dei 100 mm, vince chi riesce a raggiungere la distanza di sicurezza in minor tempo

– Pesi delle buste della spesa, vince chi riesce ad accaparrarsi più viveri per il lock down

– Maratona delle file, vince chi riesce prendere una raccomandata alle poste

– Velocisti del tampone, vince chi riesce a non soffiarsi il naso dopo un tampone 

– Judo del gomito, vince chi riesce a salutare più persone con il gomito

Queste le specialità nelle quali siamo diventati bravi nell’ultimo anno. Il mondo normale è lontano, come il Giappone. 

Ma sempre mia moglie continua: ” ma è normale che lo stadio sia vuoto? il Giappone è lontano”. E continua:

“Va beh! Mo un po’ de paesi l’abbiamo visti, metti Netflix che è uscita una nuova serie”

Ecco risolto il problema della immondizia a Roma!

Sono qui fermo al bordo della strada ad osservare uno dei tanti cumuli di immondizia che ormai sono sparsi in ogni angolo della nostra città. Dai quartieri centrali alla periferia la costante ormai sono cumuli di immondizia disordinati E maleodoranti. Non si salva neppure il centro storico, hanno tolto i secchi dell’immondizia per passare ad una raccolta porta a porta ma il risultato è stato soltanto creare dei mucchi infiniti di immondizia; terreno di eterna lotta tra gabbiani e ratti giganti. La nostra città eterna che è stata esempio di civiltà nella storia portando il diritto e luce di sapienza in tutto il mondo è ora esempio di sporcizia ed esemplare disordine. Roma è stata la prima città al mondo ad avere un sistema di fognature centralizzato, la “cloaca massima”, che ancora adesso la moderna città utilizza come collettore di scarico delle fognature. Come ha potuto la città che è stata la culla della civiltà moderna ridursi ad essere la capitale europea più sporca? Come ha potuto la città esempio di civiltà ridursi ad essere punto di riferimento negativo nelle classifiche del riciclo dei rifiuti?

Mentre riflettevo sul ruolo di Roma nella storia dell’uomo e sul grande tema dei corsi e ricorsi storici si avvicina un primo romano erede del grande impero che stato fulgido esempio per tutte le civiltà della storia e si rivolge a me dicendo “Il problema di Roma è che siamo troppi”. Non rispondo a questa affermazione negazionista dell’esistenza di città come Londra o New York che sono 45 volte più popolosi di Roma e pure riescono addirittura a fare della raccolta differenziata una vera e propria industria.

Dopo un po’ di tempo mentre sono assorto nell’ osservare un combattimento avvincente fra un gabbiano reale ed un ratto gigante che mi fa venire in mente le grandi battaglie che si consumavano nelle arene di gladiatori, mi si avvicina un altro cittadino romano ” d’altronde se tutti i sindaci precedenti ci hanno mangiato su è chiaro che…” Lasciando intendere che la corruzione è la vera causa di tale disastro. Non replico neppure a questa affermazione di tale erede di una civiltà così preziosa nella storia dell’uomo, non riuscendo a capire come il comportamento di alcuni politici corrotti possa influenzare sull’azione del dipendente del Comune che la mattina si dovrebbe svegliare e fare il proprio dovere.

Intanto, mentre osservavo questo enorme mucchio di immondizia fumante, la fauna locale si stava arricchendo anche di un cinghiale di passaggio; ecco che proprio in quel mentre si avvicina un altro erede dell’impero che ha costruito la più grande rete viaria d’Europa e dice” È che sono pochi, dovrebbero assumere più persone”; mi giro dall’altra parte un po’ per osservare il cinghiale in avvicinamento un po’ per non replicare a chi disconosce che il Comune di Roma ha il maggior numero di dipendenti di tutte le capitali d’Europa.

Ma proprio al fine della mia permanenza presso questa deprimente visione, quando ormai tutte le speranze erano messe e stavo per perdermi in questo mare che nulla ha di dolce ma molto di amaro, proprio ora ecco intravedere la soluzione. Si avvicina con atteggiamento perentorio e sguardo ieratico un probabile pronipote di qualche console romano per affermare con veemenza la vera soluzione al problema”la colpa è di chi butta l’immondizia dovrebbero conservarla a casa. Se il Comune non riesce a raccoglierla ognuno di noi ha il dovere civico di conservarla. Dovrebbe dividerla per tipologia, dedicare una stanza della casa alla raccolta, curarla e conservarla nella maniera giusta. È ora di farla finita di chiedere Al Comune di espletare questa funzione ognuno deve farlo a casa sua.”

– Eureka!

Ecco finalmente risolto il problema! Dopo anni di civiltà tese a centralizzare il servizio di raccolta dei liquidi fognari dell’immondizia per rendere il servizio ad ogni singolo cittadino, ecco la vera soluzione il fai-da-te. Risolverebbe come l’uovo di colombo tutti i problemi di raccolta di immondizia. Basterebbe comprare una casa abbastanza grande per contenere tutta l’immondizia che una persona produce durante tutta la vita, si comincerebbe da giovani, con la prima bustina e piano piano in tutta la vita fino a che si diventa anziani si riempie tutta la casa quando poi ormai canuti si è finito l’appartamento se ne prende un altro e si ricomincia. Non rispondo neppure al novello console non perché non sia una soluzione geniale ma perché voglio mantenere il segreto di questa soluzione tutta italiana. Pensate quanto sono stupidi tedeschi che guadagnano sulla raccolta differenziata! E che fatica sprecata gli spagnoli che hanno i cassonetti sotterranei! Che cosa dire dei newyorkesi che trasportano l’immondizia via fiume, soldi sprecati

– La via italiana al progresso: il nostro soggiorno come discarica!

IL BON TON DELLE VIDEOCONFERENZE

Dopo una partenza veloce, per molti non programmata, siamo entrati nell’era della videoconfernza. Oramai viene utilizzata spesso anche in sostituzione di riunioni che potrebbero svolgersi in sicurezza dal vivo, per velocizzare le procedure e per evitare perdite di tempo. In sostanza la videoconferenza, da sistema emergenziale, come era considerato ai suoi esordi, si e’ trasformato in normale e preferenziale sistema di comunicazione veloce tra le persone specie in ambito aziendale, della formazione e tra breve si auspica lo diventi anche in ambito giudiziario, evitando viaggi spesso totalmente inutili per raggiungere mete che non richiedono una presenza fisica per migliorare lo scopo.

E’ evidente che questo non valga per riunioni che richiedano una attivita’ pratica collettiva, come ad esempio una esercitazione pratica su una attrezzatura, ma questo oramai, con sistemi avanzati di rappresentazione multicamera, con la scarsa latenza, che tra breve sara’ implementata dal 5g, sara’ un gap facilmente superabile rispetto ad una esperienza dal vivo.

Ma quali sono i problemi che emergono da questo tipo di collegamenti e quali sono i comportamenti che bisogna tenere in base alle riunioni dal vivo? Ci si pone il problema in quanto, sempre piu’ spesso si vedono in rete e nelle video-conferenze comportamenti che lasciano d’istinto perplessi e sui quali vale la pena di approfondire.

Innanzitutto bisogna considerare che la video-conferenza avviene tra esseri umani e non tra un computer ed un essere umano. E’ per questo motivo che vale la pena di ricordare quelle che possono essere considerate regole di bon ton e che cominciano da prima della riunione, terminando anche dopo il termine della stessa.

1-PRIMA DELLA RIUNIONE-Innanzitutto va considerato che e’ indispensabile testare i propri sistemi di videocomunicazione con i tester integrati in tutti i software di comunicazione. E’ inaccettabile presentarsi ad una riunione , per quanto virtuale, senza audio, con il video troppo buio oppure assente etc.

2-PUNTUALITA’. La puntualita’ e’ essenziale, come lo e’ per tutti gli appuntamenti in genere, ma lo e’ di piu’ in ambito lavorativo oppure in ambito formativo. Ricordiamoci che dall’altra parte ci sono persone che potrebbero avere rinunciato alle loro cose private per arrivare puntuali alla riunione e non e’ giusto farle attendere.

3-COMUNICAZIONI. Quando si entra in una riunione, bisogna salutare, appalesarsi, evitando di entrare furtivamente,senza far capire, all’interlocutore oppure agli altri partecipanti, che si e’ entrati. Ovviamente si e’ esentati in caso di grandi riunioni con decine di partecipanti.

4-TELECAMERA: la telecamera DEVE essere tenuta sempre accesa. Dall’altro capo della rete c’e’ un essere umano e la sua prestazione oppura la sua percezione dell’interlocutore potrebbe essere ridotta nel caso in cui non fosse chiaro se lo stesso interlocutore sia presente oppure sia andato altrove. Immaginate di traslare un comportamento contrario in ambito presenziale: mentre un docente sta parlando voi vi alzate ed andate a prendere un caffe’ in un altra stanza lasciando la porta aperta per continuare a sentire quello che dice. Che ne penserebbe di voi? L’illuminazione della sala deve essere adeguata per consentire di ridurre quello che in gergo tecnico viene chiamato ‘rumore digitale’ ovvero i pallini che appaiono in una immagine poco luminosa.

5-Sfondo: lo sfondo deve essere neutro per evitare di confondere i partecipanti rispetto agli argomenti trattati: sfondi animati e non pertinenti alla riunione non sono accettabili, ade esclusione di loghi aziendali.

6-MICROFONO: il microfono va disattivato quando non si parla. Ricordando che i sistemi di videoconferenza non vi fanno ascoltare voi stessi con la conseguenza che potreste non sentire la vostra barba oppure i vostri orecchini che strusciano sul microfono facendo un rumoraccio. Se e’ possibile utilizzare un microfono da tavolo professionale quanto piu’ vicino alla bocca, per evitare quello che in gergo tecnico viene chiamato ‘ambiente’ ovvero il riverbero della sala che confonde l’interlocuzione.

7-PRIVACY: e’ sempre meglio utilizzare uno spazio dedicato, esclusivo, che non faccia vedere in che ambiente ci troviamo. A questo scopo va benissimo utilizzare uno sfondo digitale integrato in molti software di videoconferenza, come ad esempio Blur di Zoom, che sfoca lo sfondo.

8- MANGIARE E BERE: bere un goccio d’acqua e’ sempre lecito, ma mangiare oppure consumare alcolici durante una riunione e’ completamente fuori luogo, anche in una video-conferenza destinata a funizonari di una ditta che li produce.

9-MODO DI PARLARE: per quanto e’ sempre meglio che tutti usino le cuffie per evitare ritorni sgraditi verso il microfono, e’ indispensabile scandire bene le parole per evitare di essere incompresi e per evitare di infastidire gli altri partecipanti.

10-CHAT utilizzare la chat solo se richiesto dal relatore e non per iniziativa personale.

Queste sono le regole di base che ad oggi sono comunemente accettate come valide per apparire educati alla video-conferenza, e come si dice: essere educati non e’ obbligatorio ma ci fa apparire migliori.